... appunti in punta di violino ...
… cenni storici!
Non
si sa bene dove e quando siano nati gli strumenti ad arco. Sicuro è
che ne esistono tracce in quasi tutti i continenti.
Molte
culture antiche e moderne, utilizzavano e utilizzano strumenti ad
arco, come la Lira Greca e quella Calabra, il Kemence(Turkia),il
Sarangi(India),lo N'jarka(Mali), ne sono solo alcuni esempi.
Strumenti in alcuni casi caduti nell'oblio a favore del più moderno
e versatile violino.
Lo
strumento ad arco, assieme a rudimentali percussione e a modesti
flauti, ha accompagnato l'evoluzione dell'umanità, seguendolo nelle
varie fasi di transumanza.
Il
violino ancora oggi è simbolo delle popolazioni nomadi, dalla
Mongolia al Pakistan, dall'India al Corno d'Africa, Gitani, Sinti e
Tuareg hanno viaggiato col loro strumento, accompagnando il canto o
sostituendolo, per intonare le loro melodie.
Essendo
strumenti di piccole dimensioni e di facile trasporto, hanno comunque
la capacità di emettere suoni più o meno acuti, tali da sovrastare
il suono delle percussioni.
… un
violino tra gli schiavi !
Durante
la deportazione di schiavi nel continente americano,durato più di
400 anni, vennero trasportati anche oggetti esotici e preziosi, ed
alcuni strumenti musicali.
Sembra
che agli sciavi, durante le brevi pause, gli venisse concesso di
esibirsi in canti e balli.
In
alcune rappresentazioni dei campi di schiavitù, vengono
rappresentati alcuni schiavi suonare strumenti ad arco, come il già
citato N'jarka, violino monocordo di etnia Mande.
Questo
strumento si sarebbe evoluto in un Cigar Box Violin, strumento che
gli schiavi realizzavano con le scatole di sigari dei loro padroni,
un pezzo di manico di scopa e una corda metallica.
Big
Bill Bronzy, noto Bluesman ritenuto uno dei padri del Chicago
Blues,ha raccontato ad Alan Lomax, ricercatore ed etnomusicologo
americano, che quando era bambino si costruì un violino proprio come
quello descritto. Con questo rudimentale strumento e la sua voce
intratteneva i suoi amici nelle feste da ballo.
Solo
dopo aver partecipato alla seconda guerra mondiale, periodo nel quale
venne in Europa, e al suo ritorno, trasferitosi a Chicago, inizierà
a suonare la chitarra, diventandone uno dei più influenti artisti.
… un
figlio meticcio di nome Jass
Proprio
tra gli ultimi decenni dell'800 e primi decenni del'900, nello stato
della Louisiana, prendono vita numerosi generi musicali, dal Cajun
allo Zydeco, dal Delta Blues al Chicago Blues, dal Rag al Jazz. In
tutto questo fermento il violino è una delle voci forti, fa a
gomitate con le fisarmoniche e le cornette, in quel di Clarksdale
trascina gruppi di percussionisti ai polverosi pic nic di primavera,
dando origine elle poi più famose Marching Band di New Orleans.
Ci
sono artisti, luoghi e altri generi musicali che potrei menzionare,
ma per ovvi motivi non mi dilungo, diciamo che grazie al nuovo e
crescente mercato discografico, nasce il Jazz.
Di
fatto il 26 febbraio del 1917 a New York viene inciso il primo disco
sotto il nome di Jass. La band Original Dixeland Jass Band guidata
da Nick La Rocca è composta da tutti ragazzi bianchi figli di
immigrati europei, ma nati e cresciuti a New Orleans a stretto
contato con la comunità Africano Americana.
… DNA
!
Sicuro
che la componente Africano Americana è predominante nel DNA del
Jazz. La concezione poliritmica e l'utilizzo di strutture
armonicamente semplici come il Blues, sono ancora gli elementi
peculiari della musica di tutto il continente africano.
Ma
ci sono anche tante contaminazioni della musica occidentale. Oltre
alla popolare forma canzone con strofa e ritornello, vengono
riadattate le forme classiche della fuga, il canone e il Valzer.
… veloci
mutamenti !
Dopo
la diffusione del Jazz classico nel 1920, che era influenzato dal
Blues e dal Ragtime, arrivano il Dixeland e lo Swing, entrambi
suonati da piccole e grandi orchestre in affollate sale da ballo.
Generalmente erano composte di soli musicisti Africano Americani o di
soli “Bianchi”, i gruppi misti non erano molto apprezzati da
entrambe le parti.
Gli
anni '40 saranno tormentati dal Be Bop,un genere dal ritmo molto
veloce, dove i musicisti, in prevalenza Africano Americani, dopo aver
suonato nelle sale da ballo, si riuniscono tutta la notte nei piccoli
locali, fumosi e sotterranei di New York, per provare nuove tecniche
e formule musicali.
Contemporaneamente
nasce il Cool Jazz, nato sulle coste della California, suonato
prettamente da musicisti bianchi,si distingue per il suo ritmo calmo
e avvolgente,di ispirazione tardo romantica.
… la
propaganda !
Il
pubblico non va più a ballare il Jazz, ma ne diventa un cultore,
ascolta silenzioso, o quasi, ne colleziona i dischi e ne discute con
gli amici, di fatto il Jazz diventa la musica Nazionale Americana. I
musicisti di Jazz verranno mandati in tutti i continenti, come
soldati, a diffondere la cultura degli Stati Uniti. Suoneranno alle
TV locali e nei prestigiosi teatri di musica classica. Così questa
musica che fino ad allora s'era nutrita dei geni multiculturali
americani, abbraccia anche e viene abbracciato dal resto del mondo.
Già
al finire degli anni 50, in Europa sono nati circoli, festival e
scuole dedicati al Jazz.
Dopo
i revival di inizio '60, nasce il Free Jazz, non è solo musica ma
protesta, politica. Distruggere il sistema e ricrearne uno nuovo con
pari diritti per tutti senza distinzione di razza. Ma non è finita,
sempre più popolare assume nuove forme. Nasce il Jazz Elettrico e la
Fusion, generi che come i loro predecessori hanno fatto discutere
molto, ma che comunque hanno prodotto brani indimenticabili.
Oggi,
dopo 100 anni, il Jazz assume molti aspetti, in molte parti del
mondo, con alcune contaminazioni Etno o Word, ha dato vita a scuole
caratterizzate da un tipico suono d'appartenenza. L'Italia e la
Francia, i Paesi Scandinavi e il Giappone sono solo alcune delle
realtà più diffuse.
… un'orchestra di violini !
In
tutta questa ascesa, con eventi sempre più o meno sporadici, il
violini ne è stato uno dei protagonisti.
Ogni
forma di Jazz citata ha avuto uno o più rappresentanti dello
strumento. Non li elenco tutti!
…
Eddie South e Stuff
Smith anno animato il Dixeland,
Joe
Venuti negli Usa e Stephane Grappelli in Europa, la swing era. La
lista è affollata, dal Free di Leroy Jenkins alle contaminazioni di
Jean Lu Ponti, dal minimalismo di Mark Feldman elle incursioni
Fusion/ World di L. Shankar.
Oggi
ci sono molti artisti che propongono personali visioni dello
strumento.
… in
Italia !
In
Italia abbiamo diversi violinisti, che si cimentano sia nel
repertorio del Jazz classico che in quello moderno.
Ma
c'è un artista in particolare,che si muove a 360° nella musica
d'improvvisazione. In solo o in gruppi più o meno numerosi,
dimostra grande personalità.
Insomma
!... dalla minimal music alle Big Band ... Emanuele Parrini sa farsi
notare!
… viaggio
al centro del violino !
Qualche
tempo fa ho ascoltato il suo album di solo violino.
…
“viaggio al centro
del violino n°1” edito dalla Rudi Records nel 2014 è un vero
viaggio all'interno delle possibilità di questo strumento. In verità
in due brani è accompagnato dalla viola di Paolo Botti, ma il
contributo è talmente partecipato che non distoglie dalla trama ma
ne aggiunge spessore dando l'impressione di un corpo unico.
Un
album crudo e caldo, introspettivo, comunque difficile da spiegare
con le sole parole.
Oltre
all'ascolto, per capire il modo “Musica” di Emanuele Parrini vi
riporto la piacevole “chiacchierata” che abbiamo avuto:
Come
nasce la tua passione per la musica?
Sicuramente
il mio ambiente familiare ha favorito questa attitudine, ha stimolato
la mia curiosità e la determinazione con cui sono andato, poi, a
ricercarmi le cose. Come dire, un input ci deve essere, ma sta a te
coltivarlo.
Ho
avuto la fortuna di crescere in una famiglia che si è adoperata per
farmi fare esperienze su più fronti, portando me e mio fratello a
vedere spettacoli, proponendo libri, facendoci viaggiare.
Per
farti un esempio concreto: mia madre è di Spoleto ed il fatto di
passare là feste comandate e parte delle vacanze estive, ha
facilitato la possibilità di andare a vedere, sin da bambino, gli
spettacoli del Festival dei due Mondi ed in seguito Umbria Jazz. Mio
zio è un appassionato di Jazz, mio cugino è un batterista e con
loro ho vissuto i primi concerti.
Certo,
sono stato fortunato ed il ricordo è quello di un periodo di
scoperte e grande complicità.
Col
violino e stato amore a prima vista?
Amore
a prima vista. Subito, dal primo momento che misi gli occhi su quello
strumento di mio nonno tirato fuori dall’armadio dove stava ad
ammuffire. Per la verità non era uno strumento eccezionale e mio
nonno era stato un suonatore più che dilettante (la mia bisnonna lo
chiamava “pane e aceto” quando lo sentiva suonare non gradendo
particolarmente), ma era divorato dalla passione e quella passione mi
è arrivata e si è appropriata di me.
Hai
fatto studi classici?
Sì,
ma in maniera non istituzionale, nel senso che ho frequentato la
Scuola di musica di Orbetello, ho preso lezioni da un violinista
barocco da cui andavo una volta al mese, ma non ho frequentato un
Conservatorio e non ho un Diploma.
Comunque
ho avuto dei grandi insegnanti e con loro ho studiato tanto e
duramente, tanto che ho conservato quella disciplina e quel senso
critico dello studio nel mio percorso successivo.
Come
ti sei accostato al Jazz?
Mi
sono accostato al Jazz in maniera spontanea. All’inizio si è
presentato frequentando la Scuola di Musica nella persona di Giulio
Libano, musicista, arrangiatore e compositore di successo che veniva
a dirigere una piccola orchestra di studenti ed appassionati il cui
repertorio prevedeva anche grandi classici come Moon River, Over The
Rainbow o Take the “A” Train di Ellington oltre ai sui brani
originali (tra cui anche un quartetto d’archi per noi studenti di
violino). Poi con l’ascolto degli Lp dell’Enciclopedia della
Fabbri spulciata per curiosità con cui scopro Stephane Grappelli, ed
il primo concerto a 15 anni con mio zio a vedere Art Blakey Jazz
Messengers.
Quali
sono i tuoi riferimenti musicali?
Al
di là degli ascolti, che sono fondamentali, ho avuto la fortuna di
avere degli insegnanti e di fare degli incontri da musicista che
sicuramente hanno segnato la mia formazione.
Adoravo
il mio insegnante di violino Antonio Cavallucci e volevo essere come
lui, così come adoravo Giulio Libano con cui sono rimasto in
contatto anche quando la musica oltre ad essere la mia passione era
diventata il mio lavoro.
Più
avanti, quando frequentavo i seminari invernali di Siena Jazz, una
figura fondamentale è stata Furio Di Castri, nel cui gruppo di
musica d’insieme imparato cosa voleva dire veramente suonare in un
gruppo ed affrontare un repertorio.
Da
adulto gli incontri più significativi e formativi, insomma, quelli
che hanno segnato di più il mio percorso influenzandolo sono stati
quelli con Butch Morris, Anthony Braxton, Cecil Taylor e William
Parker.
Aver
toccato con mano il loro pensiero,
esplorato con loro il loro punto di vista sulla musica è stato un
privilegio illuminante. Sopra tutti, però, quello che ritengo il mio
Maestro, personale riferimento umano e musicale è Tony Scott.
Oltre
a quello che rappresenta dal punto di vista affettivo, è il tramite,
il mio collegamento personale con la musica.
Vorrei
parlare anche di Amiri Baraka, che musicista non è, ma che con la
musica ed i musicisti ha avuto molto a che fare e rappresenta un
esempio di determinazione, lotta e resistenza.
E
poi quelli con cui divido il palco, la musica, i viaggi e la vita.
Dimitri
e tutti i Dinamitri, Silvia Bolognesi, Paolo Botti, Giovanni Maier,
Samuele Venturin, Tony Cattano ed un altro dei miei Maestri che è
Tiziano Tononi.
Gli
artisti e i generi musicali che ti hanno stimolato nel tempo?
E’
un lungo elenco! Parker, Dolphy, Hank Mobley, Clifford Brown, Archie
Shepp, Ellington, Bix, i grandi violinisti come Grappelli, Ponty o
Stuff Smith, Massimo Urbani, Ayler, Mingus, Coltrane, Monk, Bill
Evans, Muhal, Miles Davis.
Mi
è sempre piaciuto Vivaldi, ma anche Mozart, Bach, Bartok oppure
Springsteen, De Andrè, Dalla, il desert Blues, Bowie, insomma,
quelli
che hanno cercato di dare un contributo personale e se la sono
rischiata.
Ognuno
di noi vive periodi diversi e le cose che ti fanno sognare, ti
ispirano o semplicemente attirano la tua attenzione, di conseguenza,
sono diverse.
Arrivi
a scoprire le cose nelle maniere più varie. Si arriva anche a
mitizzare un po’ i propri eroi, ma come mi disse una volta Archie
Shepp ”Ad un certo punto devi cominciare a mettere in discussione i
tuoi Maestri”.
Lo
trovo un grande insegnamento.
Molti
lamentano il fatto che le scuole propongono metodi di studio rigidi e
antiquati, cosa pensi in merito?
Si
smette mai di studiare? ... o anche questa pratica e sempre utile
anche per la ricerca del proprio linguaggio?
Per risponderti ti
propongo le parole di Henry
Threadgill,
di un suo scritto pubblicato di recente su Musica Jazz:
“Molti
musicisti di oggi hanno un grosso problema. In primo luogo, sono
stati influenzati in maniera errata dalle scuole e dalle università
che interferiscono con il processo creativo della black music. Ogni
musica ha il suo processo creativo, quella cinese, quella balinese,
quella indiana. Il punto è che queste scuole hanno pensato di
applicare alle altre musiche il processo creativo della musica
europea (e non c’è niente di sbagliato, beninteso, nel processo
creativo della musica europea, che per la musica europea ha sempre
funzionato a meraviglia), ma questo processo non funziona per la
musica indiana o per la black
music
e
così via. Il processo creativo sta tutto nel modo in cui si arriva
a creare arte, e queste università funzionano proprio come catene di
montaggio. Tutti imparano le stesse cose, semplicemente rivisitando
la storia della musica. Ma in questo modo non verrà mai fuori niente
di nuovo. Ed ecco il problema, con tutti questi musicisti che si
assomigliano l’un l’altro, che suonano le stesse cose, che non
hanno alcun interesse nel sembrare diversi. Non sanno neanche
riconoscere chi sta suonando in un determinato momento, musicisti che
hanno quaranta o cinquant’anni più di loro. Stanno lì a farsi
raccontare tutto dalle scuole. Trenta allievi in un’aula, ai quali
viene detto come passare da A a B, e tutti finiscono per passare da A
a B nella stessa precisa maniera. Eppure basta ascoltare con
attenzione per capire che Dexter Gordon passa da A a B in un certo
modo, Eddie Lockjaw Davis in un altro, Coleman Hawkins in un altro
ancora, Sonny Rollins e John Coltrane hanno ciascuno una strategia
personale. Questo perché la musica è un fatto individuale, e di
conseguenza ogni musicista deve arrivare a queste procedure da solo.
Non c’è altro metodo per il jazz o per la improvised
black music,
soltanto
un processo individuale che dev’essere conservato e rispettato”.
Sucuramente è uno
spunto di riflessione molto profondo. Non so da dove arrivi questo
pensiero diffuso di omologazione, che non credo abbia a che fare solo
con la questione scolastica, ci sono in giro insegnanti molto bravi,
ma è più esteso. Forse c’è la paura di essere diversi, che i
tuoi colleghi, compagni di studi, il pubblico non riconoscano il tuo
stile, la tua musica e non sappiano dove collocarti. E’bellissimo
suonare immedesimandosi con i propri eroi e tutti noi abbiamo rubato
un po’ qua e un po’ là, ma ad un certo punto deve arrivare
l’accettazione di te stesso, di quello che sei e da quel momento il
lavoro diventa più duro, lo studio più difficile e non finisce mai
perché ti fa conoscere chi sei sempre più profondamente.
Direi
tutto. In generale quello che desta curiosità, anche le cose
peggiori sono fonti di spunto. Tutti abbiamo degli ascolti preferiti,
ma consiglio di ascoltare di tutto.
Quali
sono oggi i progetti che vorresti realizzare?
Sto
lavorando ad nuovo album e come spesso mi capita mi sono creato una
storia che sto elaborando e sviluppando.
Sto
scrivendo musica, ma sono previsti anche brani di quelli che saranno
i miei compagni. Sono a buon punto e spero di entrare in studio
presto anche se non mi sono dato scadenze perché prima vorrei
riuscire a pubblicare il concerto del mio Quartetto con Taylor Ho
Bynum per il Centro D’Arte Padova.
Una
bellissima esperienza resa possibile dalla collaborazione tra il
festival di Novara Jazz, Pisa Jazz ed appunto il Centro d’Arte
Padova. La musica mi piace molto e vorrei documentarla su disco e da
lì ripartire per dare continuità al gruppo.
Infine
dedicarmi all’omaggio al mio Maestro Tony Scott e alle sue
composizioni. Ho rimandato questo appuntamento per troppo tempo, e mi
pesa. Adesso ne sento l’urgenza.
Negli
anni settanta ci sono stati illustri musicisti che hanno abbracciato
l'idea di pensare ad una musica totale, dove si superasse la
distinzione tra i generi, oggi viviamo in una societa globalizzata
priva di filtri, nella quale la contaminazione viene distorta a
favore di prodotti musicali finalizzati al solo scopo commerciale.
Oggi
qual'e il contributo che può offrire un musicista per recuperare
tradizione pur rimanendo nella “modernita”?
L’onestà
nei propri confronti, della Musica e del pubblico.
I
personaggi di cui parli hanno lottato e difeso con le unghie e con i
denti, attraverso difficoltà spesso anche economiche, una musica
complessa.
Anche
loro hanno attinto alla tradizione, ma per dirla ancora con le parole
di Threadgill:
”
La tradizione
implica l’andare avanti, non è basarsi su un repertorio che viene
reinterpretato in continuazione. E io faccio parte di quella
tradizione che va avanti, che non smette mai di estendersi ”.
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