Musica Indiana
Ogni volta che termino di leggere un libro ho una strana sensazione di malinconia, come se si è
giunti al termine di un'amicizia, quando qualcuno ci lasci e lo vediamo per l'ultima volta.
Spesso mi fermo qualche pagina prima e attendo giorni o settimana prima di leggere la fine.
Da onnivoro di Musica, più nello specifico del “SUONO”, ascoltando un album dovrei avere lo
stesso coinvolgimento di quando leggo un libro, invece no.
La MUSICA coinvolge il nostro corpo fisico e astratto, la nostra parte razionale e l'inconscio, anche
se lieve e delicata in verità provoca un enorme rivoluzione nel nostro “ESSERE”, essendo corpi
vibranti che risuonano anche per simpatia l'emissione sonora ci domina.
Leggendo un libro veniamo avvolti dal SILENZIO, nel quale siamo liberi di vibrare come
vogliamo, consciamente e inconsciamente, liberi di controllare il nostro coinvolgimento.
Leggere “ MUSICA INDIANA” di Patrizia Saterini è stato un percorso emozionale, sicuramente
grazie alla condivisione dell'esperienza diretta dell'autrice, che per le interviste contenute nel libro.
Dalle prime pagine non ho avuto la consueta sensazione malinconica, forse perché consapevole che
quest'opera farà parte di quei libri inseparabili dai quali ricavo continua ispirazione.
Sono almeno 25 anni che ascolto la Musica Classica Indiana e che ne ricerco informazioni. Ci sono
poche pubblicazioni in italiano e nel tradurre quelle in inglese se ne perde alcune sfumature, un po
come nel gioco del telefono.
Finalmente ho trovato un libro valido e necessari per soddisfare la mia sete di conoscenza.
Pagina dopo pagina si entra in contatto con il vissuto di un'artista italiana che ha allargato i suoi
orizzonti guardando ad Oriente. Nonostante l'apparente lontananza culturale Saterini riesce a far
emergere elementi comuni che in seguito, almeno in Occidente, anno preso strade diverse.
Io porto sempre l'esempio di Pitagora e Platone, il primo ha indicato le basi di un flusso “melodico”
dove gli elementi mutando casualmente dando vita a naturali e infiniti intrecci armonici, mentre il
secondo in contrapposizione ha monumentato le basi di “un'armonia universale” dalla quale si
possono si estrarre molteplici combinazioni melodiche, ma non infinite perché private della
aleatoria casualità. In sintesi Pitagora rappresenta l'Oriente e Platone l'Occidente.
In Oriente, non solo in India, per migliaia di anni si è approfondito l'aspetto melodico, dove il canto
è alla base dello sviluppo interpretativo. Il ritmo la melodia e “un'armonia armonica” risiedono
prima nel canto, poi possono essere sviluppati o arricchiti con gli strumenti musicali.
In Occidente, anche se non esistono testi che ne convalidano la teoria ma se ne più dedurre solo
attraverso le tradizioni popolari, fino ai Canti Gregoriani più o meno lo sviluppo è stato lo stesso.
La frattura avviene intorno al 1700 , dove si è imposta la necessità di istituire trattati per migliorare
l'approccio armonico, l'intonazione e la fruizione.
Con il temperamento equabile e il diapason fisso a 440 hz il sistema occidentale si è privato di
un'enorme varietà di suoni e con essi anche il loro patrimonio. Inoltre in India, e non solo, la Musica
Classica è anche quella tradizionale, mentre in occidente viene imposta un'ingiustificata differenza,
dalla quale ne derivano i termini di fruizione.
Con questo non voglio giudicare chi è meglio o peggio, ma semplicemente constatare che le scelte
hanno generato percorsi diversi. I grandi compositori come Mozart e Beethoven hanno scritto
pagine meravigliose e dal grande impatto emozionale. Di fatto, nonostante la sua giovane età, la
Musica Classica si è un po esaurita, mentre quella Indiana, della quale si conoscono testi millenari,
continua a rigenerarsi come il susseguirsi degli eventi naturali, custodendo la sua brillante
vibrazione.
Altri aspetti molto importati che emergono dal libro sono l'importanza della tradizione orale, l'arte
come insieme di generi, ma soprattutto l'aspetto emozionale.
La Prima cosa che ti voglio dire è grazie, questo libro è completo, nonostante si parla di una
tradizione orale , sei riuscita a trascrivere in maniera semplice ed efficace tutti gli elementi
necessari alla fruizione della Musica Indiana. Sarà molto utile anche a chi non ha intenzione
di praticarla ma semplicemente ricavarne beneficio dal suo ascolto.
- Ho voluto scrivere un libro che fosse utile sia per chi è su un percorso musicale classico eurocolto
e vuole allargare i propri orizzonti sonori, per chi proviene da altri generi e vuole affacciarsi ad una
diversa cultura musicale, per chi non è un musicista ma vorrebbe conoscere i presupposti del
pensiero musicale indiano e per chi vuole intraprendere lo studio della musica classica indiana e
necessita di uno strumento teorico efficace.
All'inizio del libro viene fatta un'introduzione fonetica su come pronunciare correttamente le
parole in Sanscrito un po come si fa con i dizionari di lingue, ed è risaputo che la musica viene
considerata una forma linguistica universale. Ma nella Musica Indiana la parola assume un
aspetto più profondo, ci vuoi spiegare come ?
- L’India ha da sempre tramandato la conoscenza del suono quale portatore di energia trasformativa.
I veda, gli antichi testi sacri, sono strutturati in modo da essere veicolati e tramandati attraverso il
canto e si compongono di versi la cui corretta pronuncia, intonazione e metrica sono tramandati
oralmente da millenni. I suoni della lingua sanscrita sono considerati essere un modo per evocare e
connettersi ad una dimensione divina. Ecco che allora la corretta pronuncia diventa essenziale per
potervi accedere. Il termine dhrupad, forse lo stile musicale classico più antico, proviene da dhruva
(fisso) + pada (verso, testo). Il senso è che il testo, l’insieme delle parole che compongono i versi, è
il perno fondamentale. Le parole vengono anche frammentate in quelle che vengono definite
“sillabe sacre”. Sono estremamente potenti. E’ un tipo di conoscenza preziosamente custodita e
accuratamente tramandata da maestro ad allievo, o più propriamente, da maestro a discepolo dato
che si tratta di un sentiero non solo musicale ma anche evolutivo.
Secondo la cultura Occidentale non è indispensabile che un ballerino conosca i principi del
fare musica o che uno scrittore comprenda il linguaggio corporeo di un ballerino. Ancora più
assurdo, dico io, che un pianista , o altro strumento, sappia cantare .
In verità nelle musica tradizionale di molti paesi si apprende prima il canto e poi
eventualmente si prosegue con uno strumento . Anche Dexter Gordon, noto sassofonista jazz,
diceva che per suonare un buon assolo bisogna prima saper cantare la melodia dalla canzone .
Il trattato risalente tra il 4 secolo AC e il 4 secolo DC al quale fanno riferimento tutti i musicisti
indiani si chiama Natya Shastra. Eppure non è un trattato musicale bensì di Arte Scenica.
Questo perché nella tradizione indiana l’arte è un insieme di musica, danza e teatro. Non è pensabile nella
formazione di un cantante che egli non sappia danzare e nemmeno per un danzatore che non impari
a cantare, ne’ che uno strumentista non sappia cantare. Il momento musicale avviene prima
all’interno del corpo e quindi viene esternato. Che sia una frase melodica suonata o cantata, si
forma all’interno, si muove fluidamente e quindi si concretizza nella voce o nello strumento
musicale. E’ quindi fondamentale essere consapevoli che quello stesso movimento musicale è sia
interno che esterno e questa consapevolezza, che è esperienziale, lo rende carico di un’energia che
viene percepita chiaramente dal corpo di chi ascolta. E come si accede a questa esperienza?
Attraverso il consapevole movimento del corpo, la danza. Allo stesso modo lo strumentista crea la
sua frase melodica all’interno prima di esternarla, ed è la voce il primo strumento musicale! Prima
si impara a cantare, e quindi si può trasferire la propria conoscenza allo strumento. E’ così che tutto
quello che si suona diventa vivo perché segue un percorso naturale. Provengo dalla tradizione
classica occidentale, mi sono diplomata in flauto presso lo stesso Conservatorio dove, molti anni
dopo, mi sono ritrovata ad insegnare canto classico indiano. Ricordo che quando ero una
studentessa di flauto provavo il disagio di sentire la separazione dallo strumento, la sensazione di
rigidità nel corpo, la dipendenza dallo spartito….
Come viene concepita l'arte in India e perché tante persone, anche professionisti, ricercano in
essa un completamento?
Nella musica occidentale l’evoluzione è stata di tipo verticale. Abbiamo assistito alla grande
creazione della “cattedrale armonica”: i suoni sempre associati ad un accordo. L’evoluzione
progressiva è arrivata alle grandi sinfonie e quindi c’è stato un momento di stordimento. Cosa si
poteva fare di più? C’è chi ha capito che bisognava fare il percorso inverso: ricercare il suono
scollegato dalla solida impalcatura costruita attorno. E quindi la ricerca, la sperimentazione. Si è
cercato di fare qualcosa di innovativo ritornando alle radici. Il punto è proprio il fare. Nella musica
indiana il musicista non fa: è. La musica avviene tramite lui. E’ il mezzo di contatto tra dimensioni
diverse. Il movimento non è quindi egocentrico ma egocentrifugo.
Penso che molti musicisti occidentali si volgano all’arte dell’India perché intuiscono l’enormità del
pensiero filosofico che sta alla base del fare musica e che nel mondo occidentale, forse, è stato
smarrito.
Secondo me quando si parla di monodia come di singoli suoni è sbagliato, perché ogni suono è
composto da una serie di armonici ed essi cambiano assecondo della sua qualità, in pratica si
genera “un'armonia armonica”. In questo ho ritrovato riscontro nella musica indiana, la voce
ha un trasporto più intenso, paragonato ad altri generi , il canto indiano appare
tridimensionale : Oltre alla qualità tecnica e il contenuto letterario c'è anche una profondità
molto intensa, forse spirituale, ci puoi descrivere come viene considerato ed interpretato il
suono del canto nella tradizione artistica indiana.
Il suono nel suo aspetto più mistico viene definito “nada”. E’ di quello che ogni musicista è alla
costante ricerca: quel suono che, una volta raggiunto, porta alla trascendenza. Il cantante sa che
attraverso la corretta emissione ed intonazione può avere accesso a quella dimensione. Ecco quindi
l’enfasi in una tecnica vocale che lo permetta: quella della voce naturale, senza escamotage quali il
falsetto, il vibrato e altre modalità che sembrano abbellire esteticamente il suono ma che, in realtà lo
allontanano dalla sua enorme potenzialità. La musica indiana viene definita monodica, proprio
perché utilizza un suono alla volta ma non dimentichiamo la strettissima relazione con la tonica, il
SA, che resta costantemente alla base della struttura musicale. Il termina SA significa “ciò da cui
hanno vita gli altri suoni”. Ogni cantante, dal principiante al professionista, pratica giornalmente il
SA o, potremmo più correttamente dire, si immerge a lungo nel SA, prima di intonare altri suoni.
Questa pratica rende la voce capace di emettere suoni corposi e pieni di armonici.
La scala musicale indiana non è suddivisa come quella occidentale in 12 semitoni. C’è una
microtonalità che nel tempo è stata fissata dai trattati in 22 micrononi all’interno dell’ottava sebbene
in alcuni trattati si menzioni il fatto che sono, in realtà, infiniti e dipendono unicamente dalla
possibilità di essere percepiti all’orecchio La loro intonazione dipende dal raga che si vuole
eseguire. Per capirci e volendo utilizzare una terminologia occidentale, il re bemolle di un raga può
non essere lo stesso di quello di un altro raga. Le altezze dei suoni sono mobili a seconda dell’entità
melodica che evochiamo. Parlo di entità musicale quale sinonimo di Raga per indicare come questo
non sia solo una scala musicale ma, piuttosto, un essere con le sue caratteristiche, maschio o
femmina, il suo temperamento e, soprattutto, il dono che è in grado di elargire se correttamente
evocato.
Possiamo dire che l'utilizzo e il rapporto con gli strumenti musicali in India è paragonabile ad
una seconda voce?
Certamente. Lo strumento musicale è un’estensione corporea che permette, come la voce, di
convogliare i suoni. Che sia uno strumento a corde, a fiato o a percussione, questo si connette ad
una dimensione musicale che, come detto prima, si sviluppa innanzitutto all’interno del corpo.
In India gli strumenti musicali vengono considerati sacri e quindi è normale vedere il musicista che,
prima di suonare e alla fine di ogni esecuzione, tocca lo strumento con le mani e se le porta sulla
fronte o sul cuore in segno di devozione e riconoscimento.
Qual'è la funzione della Tampura ?
Il tampura funge da bordone. Il musicista è costantemente in stretto rapporto con la nota SA. Questo
gli permette di mantenere l’intonazione. Usualmente il tampura viene intonato sulla nota SA e sulla
quinta, il PA. Se il raga non prevede la presenza del PA, al suo posto di intona il MA.
Il tampura è uno strumento davvero magnetico. La sua voce risuona alla base di ogni evento
musicale. Gli armonici delle sue note si miscelano creando un tappeto sonoro circolare sul quale
poggia il cantante o lo strumentista.
La Musica Indiana e suddivisa in due grandi scuole, ci puoi spiegare quali sono le loro
differenze ?
La musica indostana, del nord India, e la musica carnatica, del sud, sono i due grandi sistemi.
Sebbene entrambi si basino sugli stessi trattati musicali e sullo stesso pensiero filosofico riguardo la
musica, hanno differenze dovute principalmente all’interpretazione e alla modalità di utilizzo di
quanto tramandato dalla tradizione. I “carnatici” rivendicano una maggior aderenza alla tradizione
adducendo che la musica indostana sia stata pesantemente influenzata dalle invasioni musulmane e
dalla loro cultura. Gli “indostani”, d’altro canto, vantano l’apertura verso il mondo occidentale e la
condivisione reciprocamente proficua con altri sistemi musicali. Certamente il concetto di raga è
quello che sta alla base di entrambi anche se la catalogazione è diversa e a volte alcuni raga del sud
hanno nomi diversi in quelli del nord; il concetto di alamkara, le ornamentazioni, è diverso: è
evidente quando si ascoltano le oscillazioni sulle note che nella musica carnatica sono molto più
estese; la ritmica nella musica indostana è meno prevalente che non in quella carnatica ma entrambi
i sistemi sono fortemente connessi con la danza.
La mia opinione è che entrambi i sistemi abbiano le stesse profonde radici profondamente nel fertile
terreno musicale di una terra che ha concepito l’idea di musica quale mezzo di salvezza.
Secondo una prospettiva anche orientale non si può parlare di musica senza menzionare anche della danza, un'altra delle tue “passioni”, quanta musica c'è o ci deve essere nel corpo
che danza?
Moltissimo. Molti anni sono stata forzata a diventare una ballerina. Ero lontanissima da quell’idea.
Venendo dalla musica occidentale non riuscivo a concepire perché avrei dovuto danzare per poter
capire come cantare. Ebbene, benedico la persona che mi ha “costretta” ad accogliere il canto nel
corpo danzante e la danza del corpo cantante. Alla fine ho sperimentato che non sono due cose
diverse: sono due angolazioni della stessa immagine. E l’esperienza ha profondamente cambiato la
mia vita e il mio approccio alla musica.
In questo momento storico sempre più globalizzato dove tutto è al sapori “Di” non si sa bene
cosa , si stanno perdendo molte tradizioni. Anche l'aspetto digitale non aiuta, esistono tutorial
per ogni cosa, persino per apprendere la Musica Indiana. Eppure la tradizione indiana
sembra sempre più solida. Possiamo dire che uno dei suoi pilastri è la tradizione orale ?
Non è possibile percepire la microtonalità da un tutorial su youtube, ne’ l’anima di un raga, ne’ fare
un serio lavoro sulla propria voce: superficialmente si può apprendere molto, la linea melodica,
magari anche la ritmica o le nozioni teoriche, ma è come quando tracciamo uno schizzo della strada
per arrivare in un particolare luogo per una persona che non vi è mai stata: possiamo indicargli di
“girare a destra, al secondo semaforo girare a sinistra, andare dritto per due rotatorie. Ma non saprà
quali e quanti alberi costeggiano la strada, il colore del cielo sopra le case, il suono delle cicale
accanto al fossato o le lucciole nella stradina di campagna. C’è solo l’esperienza personale e questa
può essere efficacemente conseguita solo grazie ad una guida. Da sempre la musica indiana è stata
tramandata attraverso un paziente lavoro di trasmissione orale, da maestro ad allievo.
Non voglio anticipare troppo, però prima di salutarci vorrei chiederti quanto è importante il
tempo secondo la filosofia indiana?
Nella filosofia indiana il tempo è circolare. Infatti non si dice “il ritmo” ma “il ciclo ritmico”. In una
visione secondo la quale il creato viene in essere da un suono e viene estinto da una danza, la
ciclicità ritmica assume un significato molto profondo. E’ come il pulsare dell’esistenza che emerge
e si riassorbe. Il ciclo ritmico è come una pergamena che viene srotolata e quindi nuovamente
riavvolta su se stessa raccontando la storia del mondo.