mercoledì 21 aprile 2021

 Still Walkin'

Mauro Ferrarese & Trulletto Records




Per quei pochi sfortunati che non lo conoscono ancora, Mauro Ferrarese è un musicista di altissimo livello, uno dei pochi Bluesman in Italia che si possono considerare tale, sicuramente al livello dei nostri fratelli del nuovo continente!

Si è fatto le ossa, musicalmente parlando, come artista di strada durante un lungo e prezioso periodo passato a New Orleans. Per le strade della città più famosa del Mississippi, considerata la capitale della rivoluzione musicale di tutto il '900, Ferrarese riscopre il Blues e la musica popolare d'oltreoceano. Ne rimane inevitabilmente rapito e presto non la considererà solo un'infatuazione ma una vera missione, che integrerà in uno intenso stile di vita “da uomo di Blues” .

Negli anni il suo repertorio segue le impronte dei grandi padri del blues rurale, del Delta e Texas Blues, Ragtime, Gospel e delle canzoni Folk di W. Guthrie, H. Williams, J. Rodgers ed ai tradizionali dell'epoca.

Partecipa ad alcuni Blues festival nazionali (Pistoia, Macallè) , ma è un musicista "on the road" in senso stretto, come lui stesso spesso ha dichiarato ... "la strada e il migliore palcoscenico per un uomo di blues", se lo volete ascoltare dal vivo lo potete raggiungere in uno dei tanti appuntamenti nei vari busker festival: Bergolo, Ferrara, Schio, Lugano e Galvay.




L'album è stato registrato da Mauro in stile “home recording” , nel febbraio 2021, e co-prodotto con la giovanissima label pugliese Trulletto Records , che ha curato il mix e il master, e si occuperà anche della distribuzione. Il disco è stato pubblicato intorno al 20 aprile, ed è disponibile su supporto fisico e digitale sulla piattaforma bandcamp.

Questo disco, anche se Ferraresa ha ancora tanto da dire, è un pò il passaggio del testimone alle nuove generazioni, la Trulletto è abitata da giovani e motivati artisti che si rivolgono proprio a quei generi acustici che vengono interpretati nell'album. Come in una lezione, nel vecchio stile orale, Mauro si esibisce svelando quei trucchi, non imitazioni o manierismi, tipici del linguaggio chitarristico del Blues. Non mancano i bassi stoppati, i tempi spezzati, il fingerpicking e lo strumming percussivo tipico dei maestri d'ascia vissuti sulle rive del grande fiume. Utilizza il Dobro [1], una particolare chitarra con risuonatori conici realizzati in metallo, lo strumento prediletto dai Bluesman per suonare in strada o nei locali senza amplificazione, proprio per il suo “enorme volume”! ... Si accompagna anche con il piede o con il tamburello, in pieno stile “on the road.




Inutile dirvi che i brani, quasi tutti originali, sono polverosi ed asciutti, trasudano di tradizione, sono talmente intensi e penetranti che vi sembrerà di averli già ascoltati, non sono rivisitazioni o delle cover, anche se “reinterpretare” è l'elemento tipico di chi fa Blues, che ancora oggi viene utilizzato dagli Africani Americani nel Rap ed in altre forme musicali, essi rappresentano un racconto sonoro che descrive un intenso vissuto ben assimilato dall'artista, che si esprime con grande personalità e rispetto.


Durante l'ascolto si possono apprezzare tutti quegli elementi che Ferrarese ha maturato negli anni, la sua voce ha preso i colori della terra arida di Clarksdale, diventando sempre più graffiante e corposa, la chitarra viene “energicamente accarezzata” creando argentei sferragliamenti che ricordano le corse folli dello Yellow Dog, il piede batte veloce come le fughe degli schiavi che fuggivano dai campi di cotone alla ricerca della libertà !!!


Un album che pochi potevano riproporre nel nuovo millennio con tanta professionalità e competenza, a distanza di almeno 100 anni dalla nascita del Blues possiamo vantare una collaborazione “nostrana” di altissimo livello e di grande passione.




https://www.trullettorecords.com/


Nota[1]


Il Dobro è una particolare chitarra con risuonatori conici realizzati in metallo, con la cassa in legno o in ottone, è uno strumento tipico delle Hawaii, nato alla fine degli anni venti proprio negli Stati Uniti, dalle mani di un emigrante slovacco John Dopyera, ed utilizzata con l'accordatura spagnola in Sol aperto, importata dai marinai spagnoli di stanza sulle isole. Vieniva suonata con la tecnica chiamata slide (scivolare), nella versione Hawaiana lo strumento veniva appoggiato in orizzontale sulle gambe, mentre la mano destra pizzica le corde la sinistra impugna una barra di acciaio che si lascia scorre sulle corde per modularne l'intonazione, sembra che questo modo di suonare sia stato introdotto da alcuni braccianti agricoli emigrati dall'India, i quali riproponevano la tecnica della vichitra veena.

Mentre i Bluesman imbracciavano la chitarra nella maniera tradizionale, usavano l'accordatura spagnola ed altre “OpenTuning”, pizzicavano le corde con la mano destra e infilavano nell'anulare della sinistra un “Bottle Neck”, un collo di bottiglia, o un tubo di ottone, oppure impugnavano una lama di coltello, che lasciavano scorrere sulle corde per suonare le melodie.

 

XYQuartet

QuartettoQuartetto





Il nuovo album di nusica.org: QuartettoQuartetto, pubblicato a dicembre 2020 con la rivista JazzIt , è un inedito progetto nato dalla sinergia tra la band XYQuartet e il Conservatorio di Musica di Vicenza Arrigo Pedrollo.


XYQuartet è uno dei gruppi più apprezzati della nuova scena del jazz italiano. Con alle spalle tre incisioni e numerosi prestigiosi concerti in Italia e all’estero è stato premiato nel 2014 e nel 2017 come secondo miglior gruppo italiano nel sondaggio della critica indetto dalla rivista Musica Jazz.


Il progetto nasce nel 2011 a Nordest, tra Veneto e Friuli, dall’incontro di due identità artistiche complementari, quelle del sassofonista Nicola Fazzini e del bassista Alessandro Fedrigo che creano, con il vibrafonista Saverio Tasca e il batterista Luca Colussi, una musica scritta, originale e innovativa, provvista di profonda coerenza e omogeneità, attraversando diversi linguaggi musicali e artistici aggiornandoli alla contemporaneità, esplorando nuove strade compositive con un approccio curioso, ‘oltrejazzistico’.




Dal 2011 la band ha realizzato numerosi concerti e tour in Italia e all’estero esibendosi su palchi prestigiosi: dalla Casa del Jazz di Roma al noto Torrione Jazz Club di Ferrara, passando tra gli altri

anche per Umbria Jazz, Novara Jazz, Foligno Young Jazz, Ambria Jazz, Gallarate Jazz Festival, Valdarno Jazz, Centro D’Arte di Padova, Pisa Jazz e molti altri. Ma la musica di XYQuartet sta recentemente valicando il confine italiano con concerti in Austria, Germania, Slovenia, Ungheria, Polonia, Spagna, Francia e Belgio.






L'album QuartettoQuartetto è un ampio e originale lavoro di orchestrazione di celebri hit degli XYQuartet, riarrangiati dalla band e dal compositore Gianmarco Scalici. Sei brani storici del gruppo Titov, Malcom Carpenter, Spazio Angusto, Vale Vladi, Consecutio Temporum, Pax Vobiscum e due inediti No Evidence, Essential.


Registrati ed eseguiti insieme a quattro musicisti del Conservatorio Arrigo Pedrollo di Vicenza, impegnati con un’ampia varietà di strumenti a percussione. Nasce così un progetto sinergico e d’avanguardia, per un disco di grande colore e dinamiche estreme, di forte impatto sonoro e scenografico. Gli otto musicisti danno vita a un disco pensato per indagare nuove soluzioni timbriche e ritmiche, in cui marimbe, gong, campane tubolari, archi, timpani colorano gli otto brani dell’album.




Se l'intento era quello di lasciare libero sfogo all'immaginazione di chi ascolta allora è stato ampiamente superato. Durante l'ascolto vengono in mente figura fantasiose e ricche di colori, qualcosa che rimane sempre un po astratto ed etereo, le suggestioni emotive che provoca sono ben definite.

Il continuo cambio di ruoli tra arrangiatori ed interpreti garantisce una ricca varietà di punti di vista, di percorsi e di riflessioni che possono soddisfare l' intelligenza di molti.

Le colorate dinamiche si intrecciano con le complesse e discorsive poliritmie, abbinate alle frequenti mutazioni del passaggio sonoro sono talmente stimolanti che difficilmente ci si annoia o perde durante l'ascolto.

Nonostante l'ampio uso di arrangiamenti e parti scritte si ha comunque la suggestione di un continuo interplay estemporaneo, si ha l'impressione di un energico collettivo, come quelli che purtroppo non se ne sentono più spesso !!!


https://www.musica.org/





domenica 18 aprile 2021

 Jar'a

Paolo Angeli




Paolo Angeli è l'artista che più di ogni altro al mondo abbia sublimato l'arte, egli steso è diventato parte integrante, il cuore, del suo “manufatto” artistico. Nato nell'isola dei giganti, ai piedi di un faro, non ha mai smesso di seguire il sole che scende all'orizzonte, sfuggendo dallo stordimento delle ombre e rimanendo sempre sotto la luce e il calore della creatività.


Come Ulisse ha viaggiato per i mari del destino, nutrendosi di tutte quelle emozioni che innalzano e arricchiscono lo spirito, non c'è genere musicale e cultura che non abbia attraversato con rispetto e dedizione, ma quello che più lo ha resolo libero è stata la sua tradizione.


Pochi sanno che il passato, la tradizione, è la chiave del futuro! ... lui l'ha scoperto in fretta ed è riuscito a spalancare porte che pochi sono riusciti ad aprire, percorrendo liberamente più percorsi creativi e cesellando un gesto artistico estremamente personale.


Paolo Angeli riesce in un solo istante, senza essere incomprensibile, ad esprimere un immagine complessa ed articolata di se, lo potremmo osservare in tanti modi, egli è una scultura o meglio un'istallazione sonora, un ricercatore o navigatore di emozioni, un suono etereo e vibrante, un fotogramma in continuo mutamento e tanto altro …





Negli anni ha creato una musica e un modo di fare musica che lo hanno spinto a diventare egli stesso strumento musicale, si perché lui è parte integrante della sua creatura sonora chiamata “chitarra sarda preparata”, con la quale ha stretto un rapporto viscerale e creativo senza precedenti.




In quest'era pandemica e dopo tanti anni di base a Barcellona Paolo ha decide di compiere un'ulteriore “SATORI” tra i luoghi della sua terra, in cerca di un'identità sempre più assetata di sapere, dal quale è nato il suo nuovo album “Jar'a”.



Il risultato è un viaggio mistico e trascendentale, le suggestioni corrono lontane, dai canti in "RE minore" del mediterraneo prosegue per la via della seta, accompagnato dai "canti armonici" degli antenati si spinge fino all'estremo oriente. Al ritorno, passa per il Bosforo esplorando gli "arabeschi" paesaggi del Medio Oriente, si perde tra il magico labirinto dei rituali "ritmici e tribali" dell' Africa più profonda, per poi tuffarsi di nuovo nel “Mare Nostrum” ed raggiungere quel faro da dove è iniziato tutto.


Circumnavigando la sua storia Paolo ci regala un meraviglioso diario sonoro, nudo e senza filtri o correzioni, schietto e dolce, triste e romantico. Ci racconta dei suoi viaggi, delle persone che ha incontrato, dei luoghi che ha visitato e degli scambi culturale che non si possono comprare a buon mercato, li dove il virus digitale della globalizzazione non riuscirà mai ad impiantare il suo tarlo !!!






Come ogni progetto a cui Paolo ci ha “viziati”, l'album è curato in ogni suo aspetto, la grafica e la ripresa sonora sono di altissima qualità, consigliatissimo l'ascolto in cuffia !!


Non mi dilungo su altre informazioni che potete facilmente reperire nel suo sito web https://www.paoloangeli.com/news/



“...anche perché ho fretta di riascoltarlo, buon viaggio a tutti !!!”

martedì 6 aprile 2021

Cyclic Signs

Auand Records






Lo scorso 19 marzo la Auand Records ha pubblicato il primo album da leader di Enrico Morello, giovane e talentuoso batterista romano che tra le varie collaborazioni può vantare la sua partecipazione, da circa sei anni,  nella formazione stabile nella band di Enrico Rava. Per il suo "Cyclic Signs" Morello decide di coinvolgere Francesco Lento alla tromba, Daniele Tittarelli al sax alto e Matteo Bortone al contrabbasso, tutti musicisti ed interpreti creativi che si immergono totalmente nei brani composti dal leader.

Per stessa ammissione di Morello questo album ha avuto una lunga gestazione, maturato negli anni di intenso studio e durante il lungo periodo di lavoro sul campo. Oltre alla musica Enrico vuole trasmettere anche sensazioni e aspetti non esclusivamente musicali...


«Nella necessita di tradurre in musica questi concetti sono partito dall’elemento a me più congeniale, il ritmo, cercando di sovvertire la prevedibile logica del tempo metricamente organizzato tracciando percorsi inattesi, multiformi e compositi, con l’intento di restituire all’ascoltatore la sensazione di sorpresa e disorientamento che si prova quando ci si affaccia alle finestre dell’ignoto.»




«L’utilizzo di un organico asciutto e costituito da strumenti prevalentemente monodici consente uno sviluppo polifonico del materiale tematico e lascia che la musica scaturisca dal silenzio come dei gesti pittorici su una tela bianca. Ho concentrato le mie energie nel dare risalto alle specificità armoniche dei brani attraverso un’accurata conduzione delle diverse voci che determinano l’intreccio polifonico. Seguendo questi principi, le gravità armoniche, seppure non esplicite, mantengono un ruolo centrale nel disegno globale delle composizioni e ne determinano ambientazioni cangianti. Queste scelte mi hanno condotto all’esplorazione di paesaggi sonori archetipici, essenziali dal punto di vista timbrico ma complessi ed articolati nella loro manifestazione corale, in questo non dissimili da alcune produzioni di musica tradizionale dell’Africa centrale che sono state fonte inesauribile d’ispirazione durante tutto il mio percorso d’investigazione creativa.»





Come potrete costatare dalle risposte che Enrico ci ha concesso nell'intervista ne emerge il profilo di un uomo molto concentrato nella professione del musicista, ma anche estremamente creativo ed originale nella pratica artistica della sua professione. Umile e curioso ha saputo produrre un album di altissimo livello, anelando una seri di brani complessi ma allo stesso tempo godibilissimi, esponendo una scrittura articolata che rispecchia con trasparenza la sua personalità. Un artista maturo con i piedi ben piantati a terra che ha fatto della sua vocazione un appassionata professione che conduce con intelligenza non comuni.



Come è nata la tua passione per la musica e perché hai scelto la batteria?

Ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un ambiente musicale, i miei genitori amano la musica e la praticano (anche se non professionalmente) da quando sono nato. Quindi in casa mia ci sono sempre stati strumenti musicali di ogni sorta e la batteria non era uno di quelli. Probabilmente la scelta di questo strumento è stata in parte motivata dalla curiosità. È stato un gioco per me, un bellissimo gioco, fino all’adolescenza; periodo in cui ho realizzato di voler vivere di musica e mi sono messo a lavorare in quella direzione.


Quando hai iniziato già pensavi di diventare un jazzista?

Quando ho iniziato a suonare (intorno ai nove anni) direi di no. A quel tempo il mio riferimento assoluto ed incontrastato era Ellade Bandini, batterista importantissimo per la storia della musica pop italiana. Questa passione per Ellade è strettamente legata alla mitologica (almeno per me) figura di Francesco Guccini, cantautore (o cantastorie, come ama definirsi lui) che ho sempre adorato ai limiti del fanatismo e che ancora ascolto con grande coinvolgimento, il mio mito giovanile se vogliamo dirla così.
Il jazz è arrivato intorno ai 13-14 anni, quando ho iniziato a frequentare la Scuola Popolare di Musica di Testaccio.








Come è stato formarsi presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio in Roma?

Era, ed immagino lo sia ancora, una scuola molto incentrata sulla comunità e sui laboratori di musica d’insieme. Oltre ad aver imparato i primi rudimenti del mio strumento grazie ad un paziente e dedito insegnante (Massimo D’agostino) ho cominciato a frequentare miei coetanei interessati al jazz, alcuni dei quali hanno continuato, negli anni, una bellissima carriera da professionisti (Luca Fattorini, Federico Pascucci, Francesco Fratini). Posso, in fine, dire di essere stato molto fortunato ad aver avuto insegnanti non solo validi ma sufficientemente appassionati da trasmettermi il seme della curiosità per questa musica. A proposito di questo vorrei citare in particolare Piero Quarta, Antonello Sorrentino ed un grandissimo musicista che purtroppo ci ha lasciati troppo presto: Maurizio Lazzaro.


Quali sono stati i tuo idoli della formazione?

Oltre ad Ellade Bandini, direi che per quanto riguarda il “jazz” sarebbe riduttivo fare qualunque tipo di selezione in termine di ascolti ed influenze. Posso dire che ci sono state altre figure molto importanti per la mia formazione, ad esempio Marco Valeri (batterista romano che ho sempre adorato e con il quale ho intrattenuto lunghe conversazioni sempre illuminanti) così come molti musicisti attivi della scena romana di qualche anno fa dai quali ho imparato tantissimo, e non sto parlando solo di batteristi…ben inteso. Senza il loro stimolo propositivo forse oggi non sarei qui a fare questa intervista.


Da circa sei anni sei uno dei “ vampirizzati” nel gruppo stabile del Maestro Rava, com'è lavorare con una delle legende viventi del Jazz Nostrano ?

L’ho sempre vissuta con grande serenità. Sono orgoglioso di far parte della sua formazione stabile da così tanto tempo ed inutile dire quanto si possa imparare da una figura come quella di Enrico anche solo scambiandoci due chiacchiere. Chiunque ha avuto il piacere di incontrarlo potrà confermare.






Quali sono i luoghi e le persone che ricordi con più affetto durante i tour in giro per il mondo?

Domanda interessante!
È molto difficile rispondere, intanto perché ho una memoria pessima in generale ed ogni tanto affiorano ricordi dei bei momenti qua e là, persone incontrate ed esperienze vissute. Credo di essere attratto maggiormente dalle piccole realtà in cui lavorano persone vere, spesso senza aiuti statali o cose del genere. Quando ti imbatti in queste realtà ti rendi conto di quanta passione ci vuole per mettere su una macchina organizzativa che abbia come fine ultimo la proposta culturale volta a contrastare l’appiattimento e la mediocrità. Per fortuna in Italia ci sono molte associazioni di persone virtuose in questo senso e, in genere, sono anche le più meritocratiche. Solo per rimanere in ambito romano potrei citare l’Agus Jazz Collective e i ragazzi del “Quadraro In Jazz”.


Quando e perché hai deciso di comporre un intero disco?

Sono diversi anni che penso di scrivere musica mia ma ho sempre fatto i conti con un’estrema pigrizia e con il fatto di non sentirmi sufficientemente “a posto con me stesso” da espormi in prima persona.
Oggi credo di aver accumulato una serie di esperienze che mi hanno aiutato a trovare una sintesi di ciò che mi interessa e di poter esprimere nel modo più sincero possibile una visione che sia mia.
Questo non significa che abbia trovato il “centro di gravità permanente” ma forse è l’inizio di un percorso di accettazione; il disco deve essere una fotografia di un momento ed è auspicabile che il processo di evoluzione personale sia costante e non si fermi mai.



Nella video intervista con S. Zenni si ironizza sul fatto che i batteristi non sanno o non sono interessati agli aspetti armonici di un brano. In realtà esistono, almeno nel jazz, molti batteristi compositori mentre ci sono pochi strumentisti che sanno interpretare il tempo come un batterista, cosa ne pensi?

Che dire…camminiamo in un campo minato di luoghi comuni. Io ti posso dire di aver avuto la fortuna di incontrare lungo il mio percorso sia formativo che professionale musicisti che mi hanno aperto gli occhi sulle infinite possibilità di elaborazione ritmico-metrica e pochi di loro erano batteristi. Allo stesso tempo ho conosciuto batteristi che compongono divinamente e che hanno una visione musicale a 360°. Non credo si tratti di fortuna o di casualità.


Anche se ho sentito la mancanza di una voce intermedia tra la tromba e il contrabbasso, possibilmente alternando il contralto con un tenore, ho percepito molta complicità da tutti i componenti della band, come hai scelto la formazione e come hanno accolto le tue composizioni?

Ho scelto dei musicisti che fossero in linea con la mia visione ed una certa estetica. Questo ha reso tutto molto più semplice. In oltre ho chiamato in causa persone verso le quali nutro una stima incondizionata sia di tipo intellettuale che prettamente musicale, questi presupposti hanno facilitato un processo di scambio costruttivo. La mia musica è stata accolta professionalmente, fin dalla prima lettura ho sentito che con una band di quel livello avrei potuto tirare fuori tutto quello che volevo, ed ho cercato di farlo nel miglior modo possibile.





Sempre con Zenni si parla di Steve Coleman e dei ritmi africani, in realtà io ho percepito certe atmosfere “armolodiche” del primo Ornette Coleman, ma anche alcune sfumature “concrete o contemporanea” molto affini al lavoro di Anthony Braxton. A cosa o chi ti sei ispirato per comporre i brani del disco?

Sono tante le influenze, sicuramente Steve Coleman è una di queste ma non è l’unica appunto. Sono, ad esempio, molto interessato al lavoro di Vijay Iyer, Steve Lehman, Mark Turner, Jonathan Finlayson, Liberty Ellman, Kris Davis, Drew Gress, Dan Weiss, Tim Berne, Ralph Alessi, Craig Taborn, Miles Okazaki, Tyshawn Sorey, Ambrose Akinmusire…per citare alcuni contemporanei. Sui grandi maestri direi che nel mio lavoro si trovano sono sicuramente echi di Ornette, McLean, Rollins, Byard, Monk, Threadgill, Davis, Shorter ed infiniti altri.


Sei interessato anche ad altri aspetti legati alla musica, ad esempio le sue affinità con le discipline scientifiche come le matematica e la geometria, ma anche al suo potere psicologico?

Ne sono senza dubbio affascinato e cerco di leggere ed informarmi sempre di più al riguardo ma chiaramente si aprirebbero porte talmente vaste che forse esulerebbero dal contesto dell’intervista.


Sei nato del 1988 quando il jazz aveva preso percorsi molto lontani dalle sue radici mescolandosi al rock ed all'elettronica, oggi si è ritornati ad un approccio più acustico. Sicuramente i tuoi ascolti sono stati anche di altro genere, cosa ti piace ascoltare? … suoni altri generi musicali?

Ti stupirò. A differenza di molti (quasi tutti) miei coetanei non ho un passato nel rock. Non è una cosa di cui vado fiero ma sicuramente è la verità. Come già accennato sono cresciuto fra la canzone d’autore, repertori di musica popolare e jazz…questo è il mio background con il massimo della trasparenza. Negli ultimi anni è subentrato un interesse per la musica delle avanguardie del ‘900 e la mia curiosità per la tradizione popolare italiana si è estesa ad un interesse per le musiche folcloriche del mondo, in particolare quella africana.


Sperando che questo momento storico si risolva il prima possibile, quali sono i tuo progetti per il futuro?

Portare in giro “Cyclic Signs” sarà la mia priorità. Per il resto spero di riprendere la mia solita attività da sideman con le band che mi vedevano coinvolto direttamente prima della pandemia e, anche in questo versante qui, ci sono molte novità in arrivo!





www.enricomorello.com

https://auand.com/


brani

01 The Forest People
02 Persephone's Dance
03 Sometimes, During The Night
04 What Happened On The Road
05 Walking Together
06 Drills In My Brain
07 Tales De Hadas
08 Playful
09 Natural Movement
10 Quite Close
11 Ghost Truck
12 The End Is The Beginning


Artistic producer: Enrico Morello

Executive producer: Marco Valente

Inner photos by Anita Martorana

Graphic designer: Riccardo Gola