AUAND's DAD
Diciotto
anni fa , a Bisceglie in Puglia, in piena crisi economica, italiana e
mondiale, Marco Valente pensa bene di fondare un'etichetta
discografica. Nonostante le incerte aspettative, da allora ad oggi la
AUAND record ha prodotto oltre le cento pubblicazioni discografiche,
tra CD, Vinile e anche su supporti
digitali.
Sono
stati coinvolti artisti provenienti da diverse realtà del Jazz
internazionale, soprattutto le giovani promesse. Come il primo
“X-Ray” , debutto discografico del trombonista barese Gianluca
Petrella , oppure “It's Mostly Residual” del Cuong Vu Trio +
Bill Frisell.
Il
“Valente” discografico non sceglie di dedicarsi ad un unico stile
di musica, come invece prediligono in molti, ma di ricercarne altri ,
sempre nuovi. Così, oggi, la AUAND offre un esteso panorama sonoro,
molte novità e indicazioni su cosa si può ascoltare sul Jazz del
nuovo millenio .
Oltre
all'alta qualità degli artisti e della musica originale che viene
pubblicata, il secondo punto forte dell'etichetta è l'enorme lavoro
di promozione. Sembra impossibile che un uomo da solo sia riuscito a
tessere una tela così estesa di contatti, forse grazie al suo
nomadismo.
Sicuro
è che Marco non si è interessalo solo dell'aspetto economico.
Quello che gli interessa di più è dare e scambiare informazione ,
affinché tutti ne traggano profitto. Così negli anni ha promosso
diverse iniziative collettive che oggi sono di grande sostegno, per i
musicisti e le etichette, giornalisti/fotografi e festival, ma
soprattutto per i fruitori.
Il
resto è storia, ma ve lo lascio raccontare da lui …...
Chi
era Marco Valente prima di diventare un discografico?
Era
sicuramente un grande appassionato di jazz che acquistava tanti CD in
maniera quasi compulsiva e che a vent'anni, per capire meglio questa
musica dal di dentro, ha deciso di studiare contrabbasso riuscendo,
pochi anni dopo, anche a calcare qualche palco.
Non
dire il calciatore! … qual'era il tuo sogno da bambino?
Il
calciatore. L'ho detto. E a cinquant'anni vado ancora a giocare ogni
domenica. Finché reggono le gambe.
Hai
suonato in qualche gruppo?
Come
dicevo, tra il 1995 e i primi anni 2000 sono riuscito a togliermi
qualche soddisfazione. Ho avuto modo di suonare (o forse sarebbe
meglio dire che ho provato a star dietro) con Mirko Signorile,
Gaetano Partipilo, Gianluca Petrella, Pino Minafra, Vittorino Curci,
Felice Mezzina, addirittura Antonello Salis in un paio di occasioni.
Hai
mai inciso qualcosa di tuo?
Solo
un paio di brani, mai pubblicati.
Quali
erano i tuoi dischi preferiti?
Ce
ne sono alcuni che sono ancora tra i miei preferiti: 80/81 di Pat
Metheny, il quartetto americano di Jarrett, il primo disco omonimo di
Michael Brecker, i Bass Desires, gli Steps e gli Steps Ahead, alcuni
dischi di Abercrombie, il periodo Elektra di Frisell e i Columbia di
Tim Berne, tutto quello che usciva in quegli anni di JMT. Ascoltavo
anche tanto jazz italiano: Rava innanzitutto, Pieranunzi, Gatto,
Giovanni Tommaso, Trovesi, Minafra, Ottaviano, Battaglia, Fresu.
Qual'è
la tua etichetta preferita?
JMT
sicuramente. Impulse tra le storiche. Un determinato periodo ECM che
va tra gli anni '70 e la fine degli anni '80.
Qual'è
stata la tua prima esperienza da discografico?
Una
compilation di jazz italiano stampata nel 2000, un anno prima di
fondare Auand. E' stato un po' un banco di prova, un esame
propedeutico.
Quando
hai creato AUAND RECORDS eri da solo?
Solissimo
e purtroppo lo sono ancora. Ho sempre sognato che un giorno venisse a
citofonare un ragazzino con la passione per il jazz a chiedermi di
dare una mano.
Quali
sono i tuoi parametri per scegliere o rifiutare un disco?
Direi
che è tutto spiegato nel pay-off di Auand: Energy, Risk, Conviction
and the Unexpected: l'energia, il rischio la convinzione e la
sorpresa. Sono questi gli elementi che cerco, sia come ascoltatore
sia come produttore. Certamente non voglio sentirmi rassicurato.
È
più importante l'immagine del suono o il suono dell'immagine?
Con
questa hai vinto il premio “Marzullo del Jazz 2019”. Produrre un
disco oggi vuol dire fare attenzione a così tanti particolari che mi
perderei facilmente nel risponderti. Tutti gli elementi hanno la loro
importanza.
Come
è nata la scelta del nome AUAND?
Buttando
giù una lista di quasi cento nomi con il grafico che si è occupato
della creazione del logo e dell'immagine e che ancora lavora con me.
Poi abbiamo ristretto ad una ventina, poi sempre meno anche grazie al
confronto con David Binney e un professore di italianistica della
NYU. Alla fine abbiamo optato per AUAND perché suonava bene anche
per gli anglofoni.
Con
la Nazionale Italiana Jazzisti hai unito due tue grandi passioni,
qual'è il tuo ruolo all'interno?
Sono
stato il fondatore, nel 2013, e primo presidente quando abbiamo
costituito la Onlus. Ora gioco solamente, quando riesco a conciliare
gli impegni. Riusciamo a raccogliere fondi per beneficenza
divertendoci e questo è importante.
Cos'è
ADEIDJ e il patto di intesa?
E'
l'acronimo di Associazione delle Etichette Indipendenti di Jazz ed è
stata da me fondata all'inizio del 2018 quindi stiamo terminando il
nostro secondo anno di vita. ADEIDJ fa parte della Federazione “Il
Jazz Italiano” che vede partecipare altre associazione legate al
nostro mondo: quella dei musicisti, dei festival, dei club, degli
agenti, dei fotografi e di chi si occupa di formazione. E' ancora
presto per tirare le somme ma già il fatto di essere tutti insieme
attorno ad un tavolo fa crescere tutto il sistema e ci porta a
pensare a strategie per il futuro di tutta la filiera. C'è
sicuramente tantissimo da fare.
Sono necessarie tutte queste sigle e procedure istituzionali , non c'è il pericolo che si perda un po lo
“spirito imprevedibile del Jazz”?
Siamo
stati cani sciolti per tanti anni e ora lo stato delle cose ci ha
portato ad unirci e discutere del futuro di questa musica in Italia.
Alla maggior parte dei concerti il pubblico è over 50 e manca un
pubblico giovanissimo. Questo è uno dei principali problemi di cui
stiamo discutendo. Sarà necessario ricreare un pubblico da zero se
non vogliamo vedere questa musica sparire dai cartelloni. In più ci
sono tantissimi problemi strettamente burocratici da risolvere: il
sistema contributivo e pensionistico dei musicisti, l'inquadramento
stesso dei musicisti nel mondo del lavoro, l'inquadramento anche dei
club che investono in operazioni culturali, l'IVA sui dischi, la
mancata retribuzione collegata allo streaming del prodotto
discografico, e tanto altro.
Dopo
Bisceglie, New York, Roma e recentemente Torino, dove è diretta la
tua curiosità?
Ovunque!
In questo momento il mio pensiero è di sondare paesi diversi facendo
delle medio/brevi residenze. Ma Bisceglie e la Puglia resteranno
sempre e comunque il punto fermo, la base dove tornare. Qui si vive
troppo bene. Giusto per farti capire, sono andato a fare un bagno al
mare lo scorso 10 Ottobre, due giorni dopo ho comprato un'intera
cassetta di cachi a 3 Euro, mangio pesce spesso senza svenarmi (a
Torino un giorno ho deciso di prendere del pesce spada e ho speso 35
euro per due persone, dopo di ché ho mangiato carne per il resto
dell'anno). Credo siano benefit inarrivabili in città metropolitane
e a 50 anni quasi suonati tengo molto alla qualità della vita.
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