Per quei pochi sfortunati che non lo
conoscono ancora, Mauro Ferrarese è un musicista di altissimo livello, uno
dei pochi Bluesman in Italia che si possono considerare tale,
sicuramente al livello dei nostri fratelli del nuovo continente!
Si è fatto le ossa, musicalmente parlando, come artista di strada
durante un lungo e prezioso periodo passato a New Orleans. Per le
strade della città più famosa del Mississippi, considerata la
capitale della rivoluzione musicale di tutto il '900, Ferrarese
riscopre il Blues e la musica popolare d'oltreoceano. Ne rimane
inevitabilmente rapito e presto non la considererà solo
un'infatuazione ma una vera missione, che integrerà in uno intenso
stile di vita “da uomo di Blues” .
Negli anni il suo repertorio segue le impronte dei grandi padri
del blues rurale, del Delta e Texas Blues, Ragtime, Gospel e delle
canzoni Folk di W. Guthrie, H. Williams, J. Rodgers ed ai tradizionali
dell'epoca.
Partecipa ad alcuni Blues festival nazionali (Pistoia, Macallè) ,
ma è un musicista "on the road" in senso stretto, come lui
stesso spesso ha dichiarato ... "la strada e il migliore
palcoscenico per un uomo di blues", se lo volete ascoltare dal
vivo lo potete raggiungere in uno dei tanti appuntamenti nei vari
busker festival: Bergolo, Ferrara, Schio, Lugano e Galvay.
L'album è stato registrato da Mauro
in stile “home recording” , nel febbraio 2021, e co-prodotto con la
giovanissima label pugliese Trulletto Records , che ha curato il mix
e il master, e si occuperà anche della distribuzione. Il disco è stato pubblicato
intorno al 20 aprile, ed è disponibile su supporto fisico e digitale
sulla piattaforma bandcamp.
Questo disco, anche se Ferraresa ha
ancora tanto da dire, è un pò il passaggio del testimone alle nuove
generazioni, la Trulletto è abitata da giovani e motivati artisti
che si rivolgono proprio a quei generi acustici che vengono
interpretati nell'album. Come in una lezione, nel vecchio stile
orale, Mauro si esibisce svelando quei trucchi, non imitazioni o
manierismi, tipici del linguaggio chitarristico del Blues. Non
mancano i bassi stoppati, i tempi spezzati, il fingerpicking e lo
strumming percussivo tipico dei maestri d'ascia vissuti sulle rive
del grande fiume. Utilizza il Dobro [1], una particolare chitarra con
risuonatori conici realizzati in metallo, lo strumento prediletto dai Bluesman per suonare in strada o nei locali senza amplificazione, proprio per
il suo “enorme volume”! ... Si accompagna anche con il piede o con
il tamburello, in pieno stile “on the road.
Inutile dirvi che i brani, quasi tutti
originali, sono polverosi ed asciutti, trasudano di tradizione, sono
talmente intensi e penetranti che vi sembrerà di averli già
ascoltati, non sono rivisitazioni o delle cover, anche se
“reinterpretare” è l'elemento tipico di chi fa Blues, che
ancora oggi viene utilizzato dagli Africani Americani nel Rap ed in
altre forme musicali, essi rappresentano un racconto sonoro che descrive un intenso vissuto ben
assimilato dall'artista, che si esprime con grande personalità e
rispetto.
Durante l'ascolto si possono apprezzare tutti quegli elementi che
Ferrarese ha maturato negli anni, la sua voce ha preso i colori
della terra arida di Clarksdale, diventando sempre più graffiante e
corposa, la chitarra viene “energicamente accarezzata” creando
argentei sferragliamenti che ricordano le corse folli dello Yellow
Dog, il piede batte veloce come le fughe degli schiavi che fuggivano
dai campi di cotone alla ricerca della libertà !!!
Un album che pochi potevano riproporre nel nuovo millennio con tanta professionalità
e competenza, a distanza di almeno 100 anni
dalla nascita del Blues possiamo vantare una collaborazione
“nostrana” di altissimo livello e di grande passione.
Il Dobro è una particolare chitarra
con risuonatori conici realizzati in metallo, con la cassa in legno o
in ottone, è uno strumento tipico delle Hawaii, nato alla fine
degli anni venti proprio negli Stati Uniti, dalle mani di un
emigrante slovacco John Dopyera, ed utilizzata con l'accordatura
spagnola in Sol aperto, importata dai marinai spagnoli di
stanza sulle isole. Vieniva suonata con la tecnica chiamata slide
(scivolare), nella versione Hawaiana lo strumento veniva appoggiato
in orizzontale sulle gambe, mentre la mano destra pizzica le corde la
sinistra impugna una barra di acciaio che si lascia scorre sulle corde
per modularne l'intonazione, sembra che questo modo di suonare sia
stato introdotto da alcuni braccianti agricoli emigrati dall'India, i
quali riproponevano la tecnica della vichitra veena.
Mentre i Bluesman
imbracciavano la chitarra nella maniera tradizionale, usavano
l'accordatura spagnola ed altre “OpenTuning”, pizzicavano le corde
con la mano destra e infilavano nell'anulare della sinistra un
“Bottle Neck”, un collo di bottiglia, o un tubo di ottone, oppure
impugnavano una lama di coltello, che lasciavano scorrere sulle
corde per suonare le melodie.
XYQuartet
QuartettoQuartetto
Il nuovo album di nusica.org:
QuartettoQuartetto, pubblicato a dicembre 2020 con la rivista JazzIt
, è un inedito progetto nato dalla sinergia tra la band XYQuartet e
il Conservatorio di Musica di Vicenza Arrigo Pedrollo.
XYQuartet è uno dei gruppi più
apprezzati della nuova scena del jazz italiano. Con alle spalle tre
incisioni e numerosi prestigiosi concerti in Italia e all’estero è
stato premiato nel 2014 e nel 2017 come secondo miglior gruppo
italiano nel sondaggio della critica indetto dalla rivista Musica
Jazz.
Il progetto nasce nel 2011 a Nordest,
tra Veneto e Friuli, dall’incontro di due identità artistiche
complementari, quelle del sassofonista Nicola Fazzini e del bassista
Alessandro Fedrigo che creano, con il vibrafonista Saverio Tasca e il
batterista Luca Colussi, una musica scritta, originale e innovativa,
provvista di profonda coerenza e omogeneità, attraversando diversi
linguaggi musicali e artistici aggiornandoli alla contemporaneità,
esplorando nuove strade compositive con un approccio curioso,
‘oltrejazzistico’.
Dal 2011 la band ha realizzato numerosi
concerti e tour in Italia e all’estero esibendosi su palchi
prestigiosi: dalla Casa del Jazz di Roma al noto Torrione Jazz Club
di Ferrara, passando tra gli altri
anche per Umbria Jazz, Novara Jazz,
Foligno Young Jazz, Ambria Jazz, Gallarate Jazz Festival, Valdarno
Jazz, Centro D’Arte di Padova, Pisa Jazz e molti altri. Ma la
musica di XYQuartet sta recentemente valicando il confine italiano
con concerti in Austria, Germania, Slovenia, Ungheria, Polonia,
Spagna, Francia e Belgio.
L'album QuartettoQuartetto è un ampio
e originale lavoro di orchestrazione di celebri hit degli XYQuartet,
riarrangiati dalla band e dal compositore Gianmarco Scalici. Sei
brani storici del gruppo Titov, Malcom Carpenter, Spazio Angusto,
Vale Vladi, Consecutio Temporum, Pax Vobiscum e due inediti No
Evidence, Essential.
Registrati ed eseguiti insieme a
quattro musicisti del Conservatorio Arrigo Pedrollo di Vicenza,
impegnati con un’ampia varietà di strumenti a percussione. Nasce
così un progetto sinergico e d’avanguardia, per un disco di grande
colore e dinamiche estreme, di forte impatto sonoro e scenografico.
Gli otto musicisti danno vita a un disco pensato per indagare nuove
soluzioni timbriche e ritmiche, in cui marimbe, gong, campane
tubolari, archi, timpani colorano gli otto brani dell’album.
Se l'intento era quello di lasciare
libero sfogo all'immaginazione di chi ascolta allora è stato
ampiamente superato. Durante l'ascolto vengono in mente figura
fantasiose e ricche di colori, qualcosa che rimane sempre un po
astratto ed etereo, le suggestioni emotive che provoca sono ben
definite.
Il continuo cambio di ruoli tra
arrangiatori ed interpreti garantisce una ricca varietà di punti di
vista, di percorsi e di riflessioni che possono soddisfare l'
intelligenza di molti.
Le colorate dinamiche si intrecciano
con le complesse e discorsive poliritmie, abbinate alle frequenti
mutazioni del passaggio sonoro sono talmente stimolanti che
difficilmente ci si annoia o perde durante l'ascolto.
Nonostante l'ampio uso di arrangiamenti
e parti scritte si ha comunque la suggestione di un continuo
interplay estemporaneo, si ha l'impressione di un energico
collettivo, come quelli che purtroppo non se ne sentono più spesso
!!!
Paolo Angeli è l'artista che più di
ogni altro al mondo abbia sublimato l'arte, egli steso è diventato
parte integrante, il cuore, del suo “manufatto” artistico. Nato
nell'isola dei giganti, ai piedi di un faro, non ha mai smesso di
seguire il sole che scende all'orizzonte, sfuggendo dallo stordimento
delle ombre e rimanendo sempre sotto la luce e il calore della
creatività.
Come Ulisse ha viaggiato per i mari del destino, nutrendosi di tutte quelle emozioni che innalzano e arricchiscono lo spirito, non c'è genere musicale e cultura che non abbia attraversato con
rispetto e dedizione, ma quello che più lo ha resolo libero è stata
la sua tradizione.
Pochi sanno che il passato, la
tradizione, è la chiave del futuro! ... lui l'ha scoperto in fretta
ed è riuscito a spalancare porte che pochi sono riusciti ad aprire,
percorrendo liberamente più percorsi creativi e cesellando un gesto
artistico estremamente personale.
Paolo Angeli riesce in un solo istante,
senza essere incomprensibile, ad esprimere un immagine complessa ed
articolata di se, lo potremmo osservare in tanti modi, egli è una
scultura o meglio un'istallazione sonora, un ricercatore o navigatore
di emozioni, un suono etereo e vibrante, un fotogramma in continuo
mutamento e tanto altro …
Negli anni ha creato una musica e un
modo di fare musica che lo hanno spinto a diventare egli stesso
strumento musicale, si perché lui è parte integrante della sua
creatura sonora chiamata “chitarra sarda preparata”, con la quale
ha stretto un rapporto viscerale e creativo senza
precedenti.
In quest'era pandemica e dopo tanti
anni di base a Barcellona Paolo ha decide di compiere un'ulteriore
“SATORI” tra i luoghi della sua terra, in cerca di un'identità sempre più assetata di sapere, dal quale è nato il suo nuovo album
“Jar'a”.
Il risultato è un viaggio mistico e
trascendentale, le suggestioni corrono lontane, dai canti in "RE minore" del mediterraneo
prosegue per la via della seta, accompagnato dai "canti armonici" degli antenati si spinge fino all'estremo oriente. Al ritorno, passa per il Bosforo esplorando gli "arabeschi" paesaggi del Medio Oriente, si perde tra il magico labirinto dei rituali "ritmici e tribali" dell' Africa più profonda, per poi tuffarsi di nuovo
nel “Mare Nostrum” ed raggiungere quel faro da dove è iniziato
tutto.
Circumnavigando la sua storia Paolo ci
regala un meraviglioso diario sonoro, nudo e senza filtri o
correzioni, schietto e dolce, triste e romantico. Ci racconta dei
suoi viaggi, delle persone che ha incontrato, dei luoghi che ha
visitato e degli scambi culturale che non si possono comprare a buon
mercato, li dove il virus digitale della globalizzazione non riuscirà
mai ad impiantare il suo tarlo !!!
Come ogni progetto a cui Paolo ci ha
“viziati”, l'album è curato in ogni suo aspetto, la grafica e la
ripresa sonora sono di altissima qualità, consigliatissimo l'ascolto
in cuffia !!
Non mi dilungo su altre informazioni
che potete facilmente reperire nel suo sito web
https://www.paoloangeli.com/news/
“...anche perché ho fretta di
riascoltarlo, buon viaggio a tutti !!!”
martedì 6 aprile 2021
Cyclic Signs
Auand Records
Lo scorso 19 marzo la Auand Records
ha pubblicato il primo album da leader di Enrico Morello, giovane e
talentuoso batterista romano che tra le varie collaborazioni può
vantare la sua partecipazione, da circa sei anni, nella formazione stabile nella band di Enrico Rava. Per il suo "Cyclic Signs" Morello decide
di coinvolgere Francesco Lento alla tromba, Daniele Tittarelli al sax
alto e Matteo Bortone al contrabbasso, tutti musicisti ed interpreti
creativi che si immergono totalmente nei brani composti dal leader.
Per stessa ammissione di Morello questo
album ha avuto una lunga gestazione, maturato negli anni di intenso
studio e durante il lungo periodo di lavoro sul campo. Oltre alla
musica Enrico vuole trasmettere anche sensazioni e aspetti non
esclusivamente musicali...
«Nella necessita di tradurre in
musica questi concetti sono partito dall’elemento a me più
congeniale, il ritmo, cercando di sovvertire la prevedibile logica
del tempo metricamente organizzato tracciando percorsi inattesi,
multiformi e compositi, con l’intento di restituire all’ascoltatore
la sensazione di sorpresa e disorientamento che si prova quando ci si
affaccia alle finestre dell’ignoto.»
«L’utilizzo di un organico asciutto e costituito da strumenti
prevalentemente monodici consente uno sviluppo polifonico del
materiale tematico e lascia che la musica scaturisca dal silenzio
come dei gesti pittorici su una tela bianca. Ho concentrato le mie
energie nel dare risalto alle specificità armoniche dei brani
attraverso un’accurata conduzione delle diverse voci che
determinano l’intreccio polifonico. Seguendo questi principi, le
gravità armoniche, seppure non esplicite, mantengono un ruolo
centrale nel disegno globale delle composizioni e ne determinano
ambientazioni cangianti. Queste scelte mi hanno condotto all’esplorazione di paesaggi
sonori archetipici, essenziali dal punto di vista timbrico ma
complessi ed articolati nella loro manifestazione corale, in questo
non dissimili da alcune produzioni di musica tradizionale dell’Africa
centrale che sono state fonte inesauribile d’ispirazione durante
tutto il mio percorso d’investigazione creativa.»
Come potrete costatare dalle risposte che Enrico ci ha concesso
nell'intervista ne emerge il profilo di un uomo molto
concentrato nella professione del musicista, ma anche estremamente
creativo ed originale nella pratica artistica della sua professione.
Umile e curioso ha saputo produrre un album di altissimo livello,
anelando una seri di brani complessi ma allo stesso tempo
godibilissimi, esponendo una scrittura articolata che rispecchia con
trasparenza la sua personalità. Un artista maturo con i piedi ben
piantati a terra che ha fatto della sua vocazione un appassionata
professione che conduce con intelligenza non comuni.
Come è
nata la tua passione per la musica e perché hai scelto la
batteria?
Ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un
ambiente musicale, i miei genitori amano la musica e la praticano
(anche se non professionalmente) da quando sono nato. Quindi in casa
mia ci sono sempre stati strumenti musicali di ogni sorta e la
batteria non era uno di quelli. Probabilmente la scelta di questo
strumento è stata in parte motivata dalla curiosità. È stato un
gioco per me, un bellissimo gioco, fino all’adolescenza; periodo in
cui ho realizzato di voler vivere di musica e mi sono messo a
lavorare in quella direzione.
Quando hai iniziato già pensavi di
diventare un jazzista?
Quando ho iniziato a suonare
(intorno ai nove anni) direi di no. A quel tempo il mio riferimento
assoluto ed incontrastato era Ellade Bandini, batterista
importantissimo per la storia della musica pop italiana. Questa
passione per Ellade è strettamente legata alla mitologica (almeno
per me) figura di Francesco Guccini, cantautore (o cantastorie, come
ama definirsi lui) che ho sempre adorato ai limiti del fanatismo e
che ancora ascolto con grande coinvolgimento, il mio mito giovanile
se vogliamo dirla così.
Il jazz è arrivato intorno ai 13-14
anni, quando ho iniziato a frequentare la Scuola Popolare di Musica
di Testaccio.
Come è stato formarsi presso la
Scuola Popolare di Musica di Testaccio in Roma?
Era, ed immagino lo sia ancora, una
scuola molto incentrata sulla comunità e sui laboratori di musica
d’insieme. Oltre ad aver imparato i primi rudimenti del mio
strumento grazie ad un paziente e dedito insegnante (Massimo
D’agostino) ho cominciato a frequentare miei coetanei interessati
al jazz, alcuni dei quali hanno continuato, negli anni, una
bellissima carriera da professionisti (Luca Fattorini, Federico
Pascucci, Francesco Fratini). Posso, in fine, dire di essere stato
molto fortunato ad aver avuto insegnanti non solo validi ma
sufficientemente appassionati da trasmettermi il seme della curiosità
per questa musica. A proposito di questo vorrei citare in particolare
Piero Quarta, Antonello Sorrentino ed un grandissimo musicista che
purtroppo ci ha lasciati troppo presto: Maurizio Lazzaro.
Quali sono stati i tuo idoli della
formazione?
Oltre ad Ellade Bandini, direi che per quanto
riguarda il “jazz” sarebbe riduttivo fare qualunque tipo di
selezione in termine di ascolti ed influenze. Posso dire che ci sono
state altre figure molto importanti per la mia formazione, ad esempio
Marco Valeri (batterista romano che ho sempre adorato e con il quale
ho intrattenuto lunghe conversazioni sempre illuminanti) così come
molti musicisti attivi della scena romana di qualche anno fa dai
quali ho imparato tantissimo, e non sto parlando solo di
batteristi…ben inteso. Senza il loro stimolo propositivo forse oggi
non sarei qui a fare questa intervista.
Da circa sei anni sei uno dei “
vampirizzati” nel gruppo stabile del Maestro Rava, com'è lavorare
con una delle legende viventi del Jazz Nostrano ?
L’ho sempre vissuta con grande
serenità. Sono orgoglioso di far parte della sua formazione stabile
da così tanto tempo ed inutile dire quanto si possa imparare da una
figura come quella di Enrico anche solo scambiandoci due chiacchiere.
Chiunque ha avuto il piacere di incontrarlo potrà confermare.
Quali sono i luoghi e le persone che
ricordi con più affetto durante i tour in giro per il mondo?
Domanda interessante!
È molto
difficile rispondere, intanto perché ho una memoria pessima in
generale ed ogni tanto affiorano ricordi dei bei momenti qua e là,
persone incontrate ed esperienze vissute. Credo di essere attratto
maggiormente dalle piccole realtà in cui lavorano persone vere,
spesso senza aiuti statali o cose del genere. Quando ti imbatti in
queste realtà ti rendi conto di quanta passione ci vuole per mettere
su una macchina organizzativa che abbia come fine ultimo la proposta
culturale volta a contrastare l’appiattimento e la mediocrità. Per
fortuna in Italia ci sono molte associazioni di persone virtuose in
questo senso e, in genere, sono anche le più meritocratiche. Solo
per rimanere in ambito romano potrei citare l’Agus Jazz Collective
e i ragazzi del “Quadraro In Jazz”.
Quando e perché hai deciso di
comporre un intero disco?
Sono diversi anni che penso di
scrivere musica mia ma ho sempre fatto i conti con un’estrema
pigrizia e con il fatto di non sentirmi sufficientemente “a posto
con me stesso” da espormi in prima persona.
Oggi credo di aver
accumulato una serie di esperienze che mi hanno aiutato a trovare una
sintesi di ciò che mi interessa e di poter esprimere nel modo più
sincero possibile una visione che sia mia.
Questo non significa
che abbia trovato il “centro di gravità permanente” ma forse è
l’inizio di un percorso di accettazione; il disco deve essere una
fotografia di un momento ed è auspicabile che il processo di
evoluzione personale sia costante e non si fermi mai.
Nella video intervista con S. Zenni
si ironizza sul fatto che i batteristi non sanno o non sono
interessati agli aspetti armonici di un brano. In realtà esistono,
almeno nel jazz, molti batteristi compositori mentre ci sono pochi
strumentisti che sanno interpretare il tempo come un batterista, cosa
ne pensi?
Che dire…camminiamo in un campo
minato di luoghi comuni. Io ti posso dire di aver avuto la fortuna di
incontrare lungo il mio percorso sia formativo che professionale
musicisti che mi hanno aperto gli occhi sulle infinite possibilità
di elaborazione ritmico-metrica e pochi di loro erano batteristi.
Allo stesso tempo ho conosciuto batteristi che compongono divinamente
e che hanno una visione musicale a 360°. Non credo si tratti di
fortuna o di casualità.
Anche se ho sentito la mancanza di
una voce intermedia tra la tromba e il contrabbasso, possibilmente
alternando il contralto con un tenore, ho percepito molta complicità
da tutti i componenti della band, come hai scelto la formazione e
come hanno accolto le tue composizioni?
Ho scelto dei musicisti che fossero
in linea con la mia visione ed una certa estetica. Questo ha reso
tutto molto più semplice. In oltre ho chiamato in causa persone
verso le quali nutro una stima incondizionata sia di tipo
intellettuale che prettamente musicale, questi presupposti hanno
facilitato un processo di scambio costruttivo. La mia musica è stata
accolta professionalmente, fin dalla prima lettura ho sentito che con
una band di quel livello avrei potuto tirare fuori tutto quello che
volevo, ed ho cercato di farlo nel miglior modo possibile.
Sempre con Zenni si parla di Steve
Coleman e dei ritmi africani, in realtà io ho percepito certe
atmosfere “armolodiche” del primo Ornette Coleman, ma anche
alcune sfumature “concrete o contemporanea” molto affini al
lavoro di Anthony Braxton. A cosa o chi ti sei ispirato per comporre
i brani del disco?
Sono tante le influenze, sicuramente
Steve Coleman è una di queste ma non è l’unica appunto. Sono, ad
esempio, molto interessato al lavoro di Vijay Iyer, Steve Lehman,
Mark Turner, Jonathan Finlayson, Liberty Ellman, Kris Davis, Drew
Gress, Dan Weiss, Tim Berne, Ralph Alessi, Craig Taborn, Miles
Okazaki, Tyshawn Sorey, Ambrose Akinmusire…per citare alcuni
contemporanei. Sui grandi maestri direi che nel mio lavoro si trovano
sono sicuramente echi di Ornette, McLean, Rollins, Byard, Monk,
Threadgill, Davis, Shorter ed infiniti altri.
Sei interessato anche ad altri
aspetti legati alla musica, ad esempio le sue affinità con le
discipline scientifiche come le matematica e la geometria, ma anche
al suo potere psicologico?
Ne sono senza dubbio affascinato
e cerco di leggere ed informarmi sempre di più al riguardo ma
chiaramente si aprirebbero porte talmente vaste che forse
esulerebbero dal contesto dell’intervista.
Sei nato del 1988 quando il jazz
aveva preso percorsi molto lontani dalle sue radici mescolandosi al
rock ed all'elettronica, oggi si è ritornati ad un approccio più
acustico. Sicuramente i tuoi ascolti sono stati anche di altro
genere, cosa ti piace ascoltare? … suoni altri generi musicali?
Ti stupirò. A differenza di molti
(quasi tutti) miei coetanei non ho un passato nel rock. Non è una
cosa di cui vado fiero ma sicuramente è la verità. Come già
accennato sono cresciuto fra la canzone d’autore, repertori di
musica popolare e jazz…questo è il mio background con il massimo
della trasparenza. Negli ultimi anni è subentrato un interesse per
la musica delle avanguardie del ‘900 e la mia curiosità per la
tradizione popolare italiana si è estesa ad un interesse per le
musiche folcloriche del mondo, in particolare quella africana.
Sperando che questo momento storico
si risolva il prima possibile, quali sono i tuo progetti per il
futuro?
Portare in giro “Cyclic Signs”
sarà la mia priorità. Per il resto spero di riprendere la mia
solita attività da sideman con le band che mi vedevano coinvolto
direttamente prima della pandemia e, anche in questo versante qui, ci
sono molte novità in arrivo!