Nina
(By Amptek Alex Marenga)
NINA è il triplo CD retrospettivo uscito su Auand Records di Gabrio Baldacci. Grazie alle produzioni di Auand stanno emergendo varie realtà contemporanee della chitarra di matrice jazz e post-jazz e sicuramente l’eclettismo di Baldacci lo pone trasversalmente ai generi.
L’autore dimostra di muoversi agevolmente in vari ecosistemi sonori e questo album cosi denso di materiale offre una panoramica esauriente sulle sonorità che esplora.
Nell’ultimo decennio la coesistenza di strumenti “tradizionali” ed elettronici e di generi consolidati con i modelli estetici creati all’interno dei generi di musica elettronica è una caratteristica del repertorio di molti giovani autori e anche Baldacci non è scevro da simili contaminazioni.
Il primo CD “Solo” (2017), è sostanzialmente realizzato in solitudine con l’impiego di chitarra ed elettronica, le distorsioni scure e sature che si coniugano con ritmiche digitali e atmosfere ambientali cupe al limite del drone doom caratterizzano quasi tutte le tracce dell’album.
Il ciclo dei quattro brani intitolati” Zouji” (numerati da 1-4) si muovono fra suoni chitarristici saturi e filtrati e ritmiche elettroniche spezzate, la title track “Nina” è dedicata alla figlia ed è una ipnotica ballata surreale.
“Dark was the Night Cold was the Ground” è un brano doom scuro, “Tambonof” ha un atmosfera più industriale che ricorda anche alcune sonorità frippiane del periodo “Red” solo “PF10” trasporta in un contesto acustico ma con un armonia complessa e dissonante, un brano ricercatissimo che spezza la tessitura scura dell’album.
Questo lavoro fatto in solitudine attraversa quindi territori introspettivi esplorando sonorità e soluzioni vicine ad un art rock sperimentale e distorto, l’autore, qui come in quasi tutto il triplo album, fa amplio uso di soluzioni improvvisative ma fuori dai canoni estetici del jazz.
Il secondo disco “Tambrio” (in duo con Stefano Tamborrino, registrato nel 2019), si pone su territori in bilico fra alternative-rock e avanguardia noise. L’album si apre su “Made in Bones” un brano lento e ossessivo, con un tema scandito da una chitarra distorta e a tratti rumoristica caratterizzato da un vocalismo sperimentale no-wave.
“Nacoro” è un brano più funkeggiante con uno sviluppo rumoristico free, fra i Sonic Youth più radicali e Zorn. “Sobaba” è invece una track dissonante e distorta, la chitarra si muove fra saturazione e rumore mentre “Tra Blinio” è un brano ambientale astratto e atonale senza alcuna ritmica.
“Notra Libi” è divisa in tre sezioni, inizia su un groove tambureggiato e una chitarra con accordi dissonanti, poi cresce su un groove spazzolato per esplodere nella seconda parte in una specie di “lark tongues in aspic” distorto e zorniano.
“Too Blaines Infart” è invece meditativo, è una sequenza di accordi di chitarra clean con fondo ambientale rumorista di percussioni strusciate. “Potamba” è una ballad con qualche influenza jazzistica, un po' friselliana, con una chitarra che porta l’armonia e una seconda distorta che espone un tema lirico e dilatato, la batteria spazzolata esegue un ritmo leggero appena accennato ma sul finale il brano diventa più serrato e le due chitarre processate con effetti di modulazione si contrappuntano su due linee dissonanti.
“Rotuli Tic” è una parentesi di 36 secondi su un ritmo quasi afro latino portato in modo percussivo dalla batteria mentre “Divo Crain”, che chiude il lavoro, è una ballad astratta e introversa che finisce in modo rumoristico e spezzato, inframezzato da silenzi e guizzi di improvvisazione noise.
“Tambrio” è un album che mostra un linguaggio omogeneo e ben centrato, con riferimenti alle avanguardie newyorkesi, alla no wave, al rock sperimentale e rumorista e all’art rock, in cui l’improvvisazione aiuta a sviluppare le strutture dei brani con soluzioni e idee sempre molto varie ed eterogenee, difficilmente i brani prendono delle direzioni prevedibili.
L’ultimo capitolo del trittico è “Mr Rencore” (2014) ed è in trio con Daniele Paoletti alla batteria e all’elettronica e Beppe Scardino al sax baritono e alto e contiene le composizioni più aggressive e che riporta a quei territori di confine fra free-jazz e rock sperimentale delineati in passato dalle produzioni di autori come John Zorn, Henry Kaiser, Arto Lindsay, Bobby Previte e di Tim Berne. Un territorio sonoro completamente trasversale che individuare come estensione del jazz sarebbe limitante e che oggi rappresenta un epicentro sonoro ancora molto creativo
I brani sono solo 5 e la raccolta si apre con “Kudra”, un brano di quasi 10 minuti che spazia fra rock rumorista e jazz, e che si muove fra ritmiche serrate e aperture ambientali. “La Rana e lo Scorpione” è una traccia nervosa con un tema all’unisono spezzato e articolato che si lancia per ben 12 minuti in una serie di sezioni e piani sonori diversi, che rendono il brano una specie di suite sperimentale
“Gnu Gun” è un brano sospeso e spigoloso, che nella fase finale cresce sulle frasi atonali e acide della chitarra distorta mentre “Ricorso 737” si fonda sui continui contrappunti tra chitarra e sassofono e la finale “Goodbye Sun” è un brano ipnotico che inizia su degli accordi di chitarra distorta e che cresce lentamente come una ballad industriale
Questo triplo album rappresenta l’esplorazione di un mondo sonoro complesso e articolato, che fa riferimento a diversi modelli estetici e culturali, più vicino a una certa avanguardia newyorkese e alle atmosfere di un certo rock alternativo che alle contaminazioni tipiche del jazz. Gabrio Baldacci, sia come autore che come chitarrista, emerge per l’eterogeneità lessicale. Il suo vocabolario chitarristico integra diversi tipi di tecniche e di soluzioni stilistiche, dimostra padronanza dell’effettistica e delle sue possibilità ed eredita influenze eterogenee completamente trasversali ai generi musicali. “Nina” è una delle migliori produzioni italiane del 2020, pur essendo in realtà un lavoro antologico, mostra un universo che abbraccia diverse declinazioni sonore che lo pone a livello di molte produzioni internazionali, sicuramente un autore da tenere d’occhio ...