martedì 29 dicembre 2020


Nina

(By Amptek Alex Marenga)




 NINA è il triplo CD retrospettivo uscito su Auand Records di Gabrio Baldacci. Grazie alle produzioni di Auand stanno emergendo varie realtà contemporanee della chitarra di matrice jazz e post-jazz e sicuramente l’eclettismo di Baldacci lo pone trasversalmente ai generi. 

L’autore dimostra di muoversi agevolmente in vari ecosistemi sonori e questo album cosi denso di materiale offre una panoramica esauriente sulle sonorità che esplora. 

Nell’ultimo decennio la coesistenza di strumenti “tradizionali” ed elettronici e di generi consolidati con i modelli estetici creati all’interno dei generi di musica elettronica è una caratteristica del repertorio di molti giovani autori e anche Baldacci non è scevro da simili contaminazioni. 







Il primo CD “Solo” (2017), è sostanzialmente realizzato in solitudine con l’impiego di chitarra ed elettronica, le distorsioni scure e sature che si coniugano con ritmiche digitali e atmosfere ambientali cupe al limite del drone doom caratterizzano quasi tutte le tracce dell’album.





Il ciclo dei quattro brani intitolati” Zouji” (numerati da 1-4) si muovono fra suoni chitarristici saturi e filtrati e ritmiche elettroniche spezzate, la title track “Nina” è dedicata alla figlia ed è una ipnotica ballata surreale.

“Dark was the Night Cold was the Ground” è un brano doom scuro, “Tambonof” ha un atmosfera più industriale che ricorda anche alcune sonorità frippiane del periodo “Red” solo “PF10” trasporta in un contesto acustico ma con un armonia complessa e dissonante, un brano ricercatissimo che spezza la tessitura scura dell’album.

Questo lavoro fatto in solitudine attraversa quindi territori introspettivi esplorando sonorità e soluzioni vicine ad un art rock sperimentale e distorto, l’autore, qui come in quasi tutto il triplo album, fa amplio uso di soluzioni improvvisative ma fuori dai canoni estetici del jazz.





Il secondo disco “Tambrio” (in duo con Stefano Tamborrino, registrato nel 2019), si pone su territori in bilico fra alternative-rock e avanguardia noise. L’album si apre su “Made in Bones” un brano lento e ossessivo, con un tema scandito da una chitarra distorta e a tratti rumoristica caratterizzato da un vocalismo sperimentale no-wave. 

“Nacoro” è un brano più funkeggiante con uno sviluppo rumoristico free, fra i Sonic Youth più radicali e Zorn. “Sobaba” è invece una track dissonante e distorta, la chitarra si muove fra saturazione e rumore mentre “Tra Blinio” è un brano ambientale astratto e atonale senza alcuna ritmica.







“Notra Libi” è divisa in tre sezioni, inizia su un groove tambureggiato e una chitarra con accordi dissonanti, poi cresce su un groove spazzolato per esplodere nella seconda parte in una specie di “lark tongues in aspic” distorto e zorniano. 

“Too Blaines Infart” è invece meditativo, è una sequenza di accordi di chitarra clean con fondo ambientale rumorista di percussioni strusciate. “Potamba” è una ballad con qualche influenza jazzistica, un po' friselliana, con una chitarra che porta l’armonia e una seconda distorta che espone un tema lirico e dilatato, la batteria spazzolata esegue un ritmo leggero appena accennato ma sul finale il brano diventa più serrato e le due chitarre processate con effetti di modulazione si contrappuntano su due linee dissonanti. 

“Rotuli Tic” è una parentesi di 36 secondi su un ritmo quasi afro latino portato in modo percussivo dalla batteria mentre “Divo Crain”, che chiude il lavoro, è una ballad astratta e introversa che finisce in modo rumoristico e spezzato, inframezzato da silenzi e guizzi di improvvisazione noise.

“Tambrio” è un album che mostra un linguaggio omogeneo e ben centrato, con riferimenti alle avanguardie newyorkesi, alla no wave, al rock sperimentale e rumorista e all’art rock, in cui l’improvvisazione aiuta a sviluppare le strutture dei brani con soluzioni e idee sempre molto varie ed eterogenee,  difficilmente i brani prendono delle direzioni prevedibili.






L’ultimo capitolo del trittico è “Mr Rencore” (2014) ed è in trio con Daniele Paoletti alla batteria e all’elettronica e Beppe Scardino al sax baritono e alto e contiene le composizioni più aggressive e che riporta a quei territori di confine fra free-jazz e rock sperimentale delineati in passato dalle produzioni di autori come John Zorn, Henry Kaiser, Arto Lindsay, Bobby Previte e di Tim Berne. Un territorio sonoro completamente trasversale che individuare come estensione del jazz sarebbe limitante e che oggi rappresenta un epicentro sonoro ancora molto creativo

I brani sono solo 5 e la raccolta si apre con “Kudra”, un brano di quasi 10 minuti che spazia fra rock rumorista e jazz, e che si muove fra ritmiche serrate e aperture ambientali. “La Rana e lo Scorpione” è una traccia nervosa con un tema all’unisono spezzato e articolato che si lancia per ben 12 minuti in una serie di sezioni e piani sonori diversi, che rendono il brano una specie di suite sperimentale







“Gnu Gun” è un brano sospeso e spigoloso, che nella fase finale cresce sulle frasi atonali e acide della chitarra distorta mentre “Ricorso 737” si fonda sui continui contrappunti tra chitarra e sassofono e la finale “Goodbye Sun” è un brano ipnotico che inizia su degli accordi di chitarra distorta e che cresce lentamente come una ballad industriale


Questo triplo album rappresenta l’esplorazione di un mondo sonoro complesso e articolato, che fa riferimento a diversi modelli estetici e culturali, più vicino a una certa avanguardia newyorkese e alle atmosfere di un certo rock alternativo che alle contaminazioni tipiche del jazz. Gabrio Baldacci, sia come autore che come chitarrista, emerge per l’eterogeneità lessicale. Il suo vocabolario chitarristico integra diversi tipi di tecniche e di soluzioni stilistiche, dimostra padronanza dell’effettistica e delle sue possibilità ed eredita influenze eterogenee completamente trasversali ai generi musicali. “Nina” è una delle migliori produzioni italiane del 2020, pur essendo in realtà un lavoro antologico, mostra un universo che abbraccia diverse declinazioni sonore che lo pone a livello di molte produzioni internazionali, sicuramente un autore da tenere d’occhio ... 






https://auand.com/



lunedì 28 dicembre 2020

SANTO BALSAMO

Choro de Rua




Lo scorso 2019 il duo Choro de Rua ha avviato una intensa ricerca sul Choro contemporaneo.

Una volta decisi i brani più rappresentativi di questa nuova e sempre crescente ondata creativa, decidono di realizzare un nuovo album. Grazie al crowdfunding, che ha beneficiato della partecipazione e del contributo di numerosi appassionati ed artisti, in questo “virale” 2020 ha potuto vedere la luce “Santo Bálsamo.”





Il Duo è composto dalla flautista Barbara Piperno e dal chitarrista Marco Ruviaro, il quale firma due splendidi brani, “Santo Balsamo” che da il nome all' album e “Jabethicaba” che vede la piacevole e vivace collaborazione della pianista Elizabeth Fadel.





Un altro importante collaboratore è il clarinettista Gabriele Mirabassi, grandissimo e storico interprete della musica brasiliana in Italia e nel mondo. Co protagonista e arrangiatore Mirabassi impreziosisce due brani importanti di questo nuovo repertorio do Choro, il primo è “Santos Reis” del giovane clarinettista brasiliano Alexandre Ribeiro, mentre l'altro è firmato dal mandolinista Hamilton de Holanda, famoso e in tutto il mondo è un'icona importante della nuova scena musicale brasiliana, in Italia ha collaborato con Stefano Bollani.


Tra i nuovi composito non mancano due chitarristi, Fernando de la Rua autore di “Triki” e Alessandro Penezzi, noto anche per la sua attività come didatta, che firma “Geringonça”.





Mentre “Forró do Marajó” è stato composto a quattro mani dalla violinista Carol Panesi e il pianista/fisarmonicista Salomão Soares. “Que falta faz tua ternurn” è l'opera di un altro giovane pianista e compositore André Mehmari.



“Tres formas de Choro Para uma mágoa, Desprezado della storica coppia Sérgios Santos e Pixinguinha, è un doveroso e intenso omaggio alla tradizione musicale do Choro.

Molto interessante e significativo è il brano “Partita BWV103: Allemande” di J. S. Bach, da notare come due generi musicali molto distanti, come genere e periodo storico, ma di grande spessore culturale si fondano insieme con grande naturalezza.


In generale l'album si ascolta con grande curiosità e coinvolgimento, tutti i ritmi e i colori do Choro sono ben esposti ed interpretati, nonostante le regole armoniche con cui vengono composti i brani, anche quelli moderni, c'è tanto spazio per l'improvvisazione, la quale rappresenta l'elemento fondamentale per rendere ogni interpretazione unica ed ispirare nuove composizioni.


In Italia la musica brasiliana ha avuto da sempre un grande seguito, prima con il samba, la bossa nova e il latin jazz, oggi è il momento do Choro, un genere musicale che invoglia a confrontarsi, a condividere e aggregarsi, “Santo Balsamo” è un ottimo antidoto per superare questo momento storico dove l'isolamento e la diffidenza creano una distanza apparentemente incongiungibile.







Barbara Piperno flauto traverso e voce
Marco Ruviaro chitarra a 7 corde

Brani 


Santo Bálsamo (Marco Ruviaro)

Forró do Marajó (Carol Panesi/ Salomão Soares)

Que falta faz tua ternura (André Mehmari) pianista

Partita BWV103: Allemande (J. S. Bach)

Santos Reis (feat. Gabriele Mirabassi, clarinetto)

Jabethicaba (feat. Elizabeth Fadel, piano) (Marco Ruviaro)

Tiro e Queda (André Parisi) Clarinettista

Tres formas de Choro
Para uma mágoa / Desprezado (Sérgios Santos/Pixinguinha)

Triki (Fernando de la Rua)

Geringonça (Alessandro Penezzi)

Flor da vida (feat. Gabriele Mirabassi, clarinetto) (Hamilton de Holanda)


info:

http://www.choroderua.com/

martedì 8 dicembre 2020

 

SONG OF THE AVATARS 

 THE LOST MASTER TAPES







Cinque anni fa, il regista Liam Barker stava lavorando al film

ducumentario “Voice of the Eagle: The Enigma of Robbie Basho”







Il soggetto di Barker era il defunto chitarrista che ha

contribuito assieme a John Fahey e Leo Kottke a dare vita allo

stile musicale che oggi conosciamo con il nome di 

“American Primitive Guitar” .

Per realizzare il Film il regista ha dovuto ripercorrere la vita

solitaria del piccolo Daniel, iniziato a Baltimora e terminato in

una casa nella Carolina del Sud.






Durante il percorso a sentito spesso parlare di una raccolta di

registrazioni personali dell'artista che apparentemente era andata

persa dopo la sua prematura morte nel 1986. Così il regista si è

ritrovato in una casa fatiscente, circondato da pile di vecchi

giornali ed escrementi di animali.

"Quando ci sono andato, era come se fosse uscita da un film

dell'orrore"

Con grande stupore, in circostanze igieniche pietose , vengono

riesumate una pila di scatole contenenti dei nastri magnetici

ancora sigillati.

"Miracolosamente, alcune di queste registrazioni sembrano essere

state registrate ieri".





Il 4 dicembre In accordo con l'Estate di Basho e i custodi

originali dei nastri, Tompkins Square pubblicherà “Song of the

Avatars: The Lost Master Tapes”, un set in 5CD di materiale

inedito.

 L'etichetta pubblicherà anche un singolo disco in vinile LP,

durante il Record Store Day '20. Il set include note di Barker,

Henry Kaiser, Steffen Basho-Junghans, Glenn Jones e Richard

Osborn.






"Ho passato anni in viaggio a cantare canzoni popolari che non

avevano significato, sai, solo per emulare. E mi sono reso conto

che invece la musica dovrebbe dire qualcosa. La musica dovrebbe

fare qualcosa. Poi ho iniziato a provare a vedere quanto in alto e

bello potrei andare.” 

Rimasto orfano, il piccolo Daniel verrà adottato dalla famiglia

Robinson, riceverà un'educazione religiosa e passerà un'infanzia

tranquilla.Come studente presso l'Università del Maryland tra la

fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, dopo le prime

esperienze con la tromba e il coro della scuola, passerà alla

chitarra dopo aver fatto amicizia con i colleghi chitarristi John

Fahey e Max Ochs.






"Quando ho iniziato, c'era un grande culto a Washington,

nell'Università del Maryland, del country blues e della Folk

Music, poi ho sentito anche la Musica Hindu.."

Basho lasciò Baltimora e si trasferì a Berkeley, dove si immerse

nella religione e nella musica orientale, e si ribattezzò in onore

del poeta giapponese del XVII secol Matsuo Bashō.


"Era sincero e inconsapevole di quello che stava facendo", dice

Glenn Jones, un chitarrista e collezionista che divenne amico di

Basho alla fine degli anni '70.

Gli amici e la famiglia di Basho lo descrivono come un ragazzo

che era profondamente impegnato nella sua musica, ma per il resto

era un solitario, afflitto dall'ansia.

"Amavo la sua musica ed ho sempre pensato che ci fosse di più di

quanto volesse esprimere. Ero convinta che sarebbe stato il

prossimo grande successo, ma non era davvero il suo interesse. Il

suo interesse era nel fare la musica, non nel ricevere molta

attenzione ", ha detto Margaret Lewis, ex fidanzata di Basho, in

Voice of the Eagle.

Aveva 45 anni quando morì a causa di un'arteria rotta nel collo.

Tutti i suoi dischi erano fuori stampa in quel momento. Lasciò la

maggior parte dei suoi beni al Sufism Reoriented, nella quale

entro a farne parte negli anni 70, che finirono sparsi per il

paese, come la sua collezione di registrazioni che finì dispersa

in quella casa in South Carolina.

L'amico Jones afferma che la riscoperta di queste registrazioni è

un'aggiunta importante alla sua eredità.

"Alcuni degli assoli di chitarra mi mettono fuori combattimento.

Perché questo non è mai apparso su nessuno dei suoi dischi? Eppure

è buono come qualsiasi cosa che ha pubblicato. Ed eccolo qui,

dimenticato in queste scatole di cartone dagli anni '80!."

Le composizioni su quei nastri abbracciano l'intera carriera di

Basho, dai suoi primi esperimenti con il blues alle composizioni

tentacolari dei suoi ultimi anni. Ma come ha detto in

quell'intervista del 1974, il suo obiettivo è rimasto lo stesso.

"Io, Leo Kottke e John Fahey dieci anni fa abbiamo iniziato a

prendere la chitarra con corde d'acciaio e abbiamo provato a farne

uno strumento da concerto. Sai, le corde di budello sono ottime

per la musica d'amore e così via. Ma l'acciaio, puoi prendere

fuoco. Puoi cavalcare e puoi volare."

 il percorso di Basho avrebbe preso una svolta decisamente

diversa, portando nel suo lavoro le tradizioni musicali hindi,

indiane, giapponesi e dei nativi americani. I suoi album per

Takoma e Vanguard hanno lasciato una traccia indelebile ed ha

influenzato generazioni di musicisti, da William Ackerman e Pete

Townshend a Ben Chasny e William Tyler.






Non ho ancora potuto ascoltare il cofanetto, perché è già sold

out, mentre ho assaporato con grande entusiasmo il vinile che

contiene 5 canzoni eteree ed accorate e 2 intensi strumentali. 

La voce di Basho, molto duttile, è capace di sfumature impressionanti.

 In “If I Had Possession” sembra posseduto dalla voce di Skip Jamas mentre la chitarra è quella di un infuocato Son House.

 “Gypsy Rosary”, primo strumentale, è la tipica forma “American

Raga” di Basho, dove alterna larghi arpeggi romantici con

dissonanze ricche di introspezione.

”Come to Me” è il canto d'amore di un moderno menestrello dalla

voce possente e dal vibrante yodel.






“Golden Palomino” è un canto Folk,sempre arricchito dall'immenso

Basho's Yodel, qui dal sapore esotico quasi Hawaiano. 

“American Sunday” è il secondo brano strumentale, ricco di luce e

di speranza.

“Bride of Thunder” è un altro canto d'amore dal sapore romantico e

medievale.

“Califia” è il nome della leggendaria regina delle donne guerriere

dalla pelle scura, da cui prende il nome lo stato della Cafornia.

Il brano è un canto onirico, una intensa lode dove la voce prende

tutti quei colori, quelle ombre e quel sapore amaro tipici del

linguaggio musicale di Basho.





La qualità delle registrazioni, se pensiamo che sono rimaste

sepolte tra i rifiuti per almeno 34 anni, è impressionate. Pulite

e ben bilanciate, esprimono un'intimità ed un calore che forse non

erano destinati al pubblico ma, erano solo un diario sonoro da

tenere per SE!”