martedì 11 maggio 2021

 NEUGUITARS MAN



Andrea Aguzzi è nato a Milano nel 1969, risiede e lavora a Mestre vicino a Venezia. E' laureato in Economia Aziendale presso l'Università Ca' Foscari di Venezia ed è da sempre appassionato di internet, musica e chitarra.

E' il Blogger del Blog NEUGUITARS, dedicato alla musica d’avanguardia, sperimentale e contemporanea per chitarra. https://neuguitars.com/ . E’ stato anche cofondatore della netlabel AlchEmistica dedicata alla musica classica e contemporanea con licenza Creative Commons.

Inoltre ha pubblicato quattro interessantissimi libri:


“Netlabels. Musica, Economia, Diritto, Società in Internet” (2012).


“Chitarre visionarie. Conversazioni con chitarristi alternativi”, (2014).


Visionary Guitars. Chatting with Guitarists (2016), solo in inglese.

Amazon.it: Visionary Guitars Chatting with Guitarists - Aguzzi, Andrea - Libri


Il recente “John Zorn The Book Of Heads” (2020), solo in inglese.

John Zorn The Book Of Heads: Amazon.it: Aguzzi, Andrea: Libri








Sul suo Blog NeuGutars pubblica numerosi articoli in merito ad argomenti molto spesso sottovalutati o troppo impegnativi, secondo i punti di vista e le necessità commerciali. In realtà la competenza e la passione di Aguzzi rende questi argomenti molto versatili e di facile intuizione. Certamente per ascoltare alcune sue proposte bisogna avere una mente aperta ed un orecchio ben educato all'ascolto, ma niente di impossibile.

Dalle sue proposte si comprende che negli anni ha acquisito un metodo di analisi e comprensione molto efficace, con una forte attenzione ad aspetti come la composizione, l‘improvvisazione, l’interpretazione e lo sviluppo tecnologico degli strumenti.



Andrea ha creato per le sue interviste una formula di 10 domande, ma io sono un po più curioso e forse ne farò almeno una dozzina, vediamo cosa ci risponde:



Come nasce la tua passione per la musica e per la chitarra classica?

Una trentina d’anni fa decisi di imparare a suonare uno strumento e comprai una chitarra classica. In realtà non volevo suonare musica classica, ma cose più pop. Dato però il mio scarso talento decisi di andare a lezione da un insegnante, la fortuna volle che trovai la Sig.ra Liliana Amato, moglie del Maestro Angelo Amato, che all’epoca insegnava chitarra classica al Conservatorio di Venezia. Non solo mi insegnò quello che volevo, ma mi introdusse anche al mondo della chitarra classica e della musica brasiliana. Le devo tantissimo. Ho studiato con lei 3 anni, un periodo formativo bellissimo.



Suoni uno strumento?

Suonicchio, ad intermittenza. Ho ancora la mia vecchia chitarra classica, una Yamaha CG 120 e due chitarre elettriche: una Fender Stratocaster Mexico del 1996 e una Eko modello Les Paul degli anni 80 restaurata. Due bellissimi strumenti, cari ricordi di un amico che non è più tra noi. Ho anche una chitarra elettrica headless, un kit cinese, che ho fatto trasformare in una chitarra fretless. Ha un suono tutto suo.



Hai studiato composizione?

No. Ho il diploma del liceo scientifico e sono laureato in Economia Aziendale a Venezia. Mai frequentato il Conservatorio. Per il resto sono autodidatta, ascolto, leggo, studio, mi interesso.






Quando hai iniziato a soffrire i limiti delle offerte del “mercato di genere”?

Veramente non ne soffro e non ne ho mai sofferto. Il primo disco, che ho comprato a 11 anni, è stato il 45 giri dei The Police “Every little thing she does is magic” e ce l’ho ancora assieme a tutti i loro album che continuo ad ascoltare con piacere. Non ho mai veramente molto sofferto la distinzione tra underground e mainstream, ascolto quello che mi interessa, anche se magari non mi piace. Non mi sono mai schierato a favore di un genere rispetto ad un altro, anche se ci sono cose che non ascolto proprio come la canzone melodica italiana e la lirica, ad esempio. La mia formazione musicale è sicuramente rock e da lì ho cominciato ad allargarmi: il jazz, la classica, la musica etnica, la sperimentale, il noise. Più che il genere in sé mi interessa ascoltare e capire come i musicisti amino mischiare le carte in tavola. Mi piacciono i prototipi, le cose al limite dei confini, anche se sono inascoltabili. Non ho nulla contro la trap e il rap. Mi rifiuto di pensare che oggi non si produca più musica valida, anche nel “mercato di genere”. Quelli che lo dicono mi ricordano i vecchietti del Muppett Show. Oggi escono tanti dischi bellissimi, come 10, come 20 anni fa. Solo che del passato abbiamo già una selezione ed è più facile orientarsi. Oggi l’offerta è vastissima. Per l’ascoltatore non è certamente un male. La società è cambiata? Dov’è la novità?



Quanto è importante che ci siano compositori creativi che sanno uscire dagli schemi?

Non so se e quanto sia importante, a me fa piacere che ci siano. Sono d’accordo con quello che scrive Scott Johnson nel suo saggio “The Counterpoint of the Species”: la vita cambia, si evolve in modi non lineari adeguandosi e anticipando le necessità che l’ambiente, la natura e il desiderio di sopravvivenza impone. Per un artista questi fattori sono dati dalla cultura, dall’ambiente, dalla società, dalla situazione economica e tecnologica che lo circondano e con cui interagisce. Poi ciascuno fa le sue scelte che sono necessariamente personali. C’è chi sente il desiderio, la necessità di andare contro la società, chi di seguirla, chi di blandirla. A ciascuna scelta corrispondono dei risultati e un pubblico che li segue. Oltre a dei compositori creativi è necessario ci siano degli interpreti e degli improvvisatori creativi e un pubblico interessato alle loro proposte. Non siamo molto distanti, anche in questo caso, da una forma di segmentazione di mercato.



Cos'è che ti affascina di più di una composizione: i metodi per la sua stesura o il risultato finale?

Un po’ tutti e due, ma la mia formazione musicale si basa sull’ascolto della musica più che sulla lettura di uno spartito. Ti direi quindi che è il risultato finale quello a cui miro fin da subito, poi cerco di approfondire, di capire cosa c’è sotto e qui le cose si complicano, perché lo spartito non mi basta. Voglio capire le logiche dietro non solo alle scelte compositive ma anche a quelle interpretative, quindi leggo, scrivo e ascolto ancora.






Gli interpreti devono essere molto motivati per riuscire a sopravvivere con un repertorio ancora così poco valorizzato, cosa si potrebbe fare per facilitarli?

Temo di non capire la domanda. Cosa intendi per “facilitarli”? Facilitarli a scegliere quel repertorio o supportarli dal punto di vista economico? Nel primo caso non saprei proprio cosa rispondere: dipende da loro, non mi sono mai azzardato a suggerire a un interprete un brano in particolare. Spetta all’interprete trovare ed eseguire quello che più gli interessa, quello che trova più adatto alla sua sensibilità. Così come spetta a loro trovare le motivazioni, artistiche, economiche, culturali e sociali, per fare questo lavoro. Per quanto riguarda l’aspetto economico penso sempre che il modo migliore sia comprare i loro dischi e andare ai loro concerti. Purtroppo al momento la seconda cosa è ancora impossibile causa Covid-19. Ma ci torneremo.



Qual'è la qualità che apprezzi di più in un interprete?

L’espressività. Questo indipendentemente dal genere che suona e dal tipo di musica che fa. L'espressività è la prima cosa, poi vengono, timbro, fraseggio, idee, capacità di innovazione. Ma l'espressività resta sempre al primo posto,non cambia se si tratta di Allan Holdsworth, Eric Clapton, Julian Bream, Elena Casoli, Jimmy Page...



Hai pubblicato quattro libri su tematiche interessanti, penso che ognuno abbia richiesto molto impegno, come è stato addentrarsi nel mondo dell’editoria?

Non credo proprio di esserci entrato, nel senso che ho scelto di produrmi i libri da solo, quindi curando traduzioni, editing e correzioni da solo. Ho imparato un po’ alla volta e sto continuando ad imparare. Non ho mai proposto nulla a una casa editrice e quindi non conosco quel contesto economico e culturale. Scrivo solo per il piacere di farlo, non per seguire un’attività economica: dai miei libri non guadagno praticamente nulla, sono in vendita a prezzo di costo. Stessa cosa per il blog, non a caso non ci sono banner pubblicitari. La mia professione è un’altra e devo dire che il mio lavoro mi piace e che continuerò a farlo. Non voglio fare il blogger professionista.



Nonostante l'idea, di molti bigotti, che i Blog siano poco interessanti e poco professionali, gestisci con passione un Blog sempre molto aggiornato con articoli ricercati e informazioni difficilmente reperibili da altre parti. Come riesci ad acquisire così tante informazioni per il tuo “blogghetto”... hai creato una rete di contatti con i vari protagonisti del settore?

Ascolto, leggo, studio. Semplicemente perché mi piace farlo e cerco di farlo al meglio che posso. E’ una questione di atteggiamento. Quando avvicino un musicista, magari su un social network, gli dimostro che conosco la sua musica, che acquisto i suoi dischi, magari da lui stesso, sulla sua piattaforma Bandcamp. Se lo intervisto evito domande banali e chiuse, cerco di scrivere delle recensioni che spieghino cosa c’è dentro quel disco e che forniscano più coordinate culturali e connessioni possibili, perché il mio obiettivo non è l’artista che legge la recensione, ma l’appassionato di musica che legge il mio blog e che vuole sapere, magari, se vale la pena di spendere 20 euro per quel cd. Da questo punto di vista non mi considero un critico, ma un appassionato di musica. Non mi piace stroncare un disco o un artista. Non è nella mia educazione: io non sono in grado di eseguire neanche il 5% di quello che sanno fare i musicisti che seguo, quindi non mi permetto di entrare su questioni tecnico esecutive, che tra l’altro interesserebbero poco al mio pubblico di appassionati. Evito anche di entrare nei territori del gusto, il mio gusto personale. Una musica, un album ha tutto il diritto/dovere di essere ascoltato indipendentemente dal fatto che a me piaccia o meno. Detesto le polemiche, me ne tengo lontano il più possibile, anche quando vengo offeso, bloccato o provocato sui social, perché è successo anche questo. E poi pubblico ormai quasi tutto in inglese. Questa scelta mi ha permesso di allargare i miei orizzonti in modo incredibile. Attualmente Neuguitars.com fa una media di circa 7.000 visite al mese, solo il 15% viene dall’Italia, tutto il resto è il mondo, Stati Uniti e Germania in testa. Ricevo ogni giorno una media di dieci tra email, whatsup e messaggi che mi suggeriscono, propongono ascolti, video e dischi. Nulla, poi, mi fa più piacere di leggere email e messaggi di musicisti che mi segnalano altri musicisti e dischi. Ricevo 15-20 cd e LP al mese. Non nascondo la mia vocazione collezionistica e archivistica. Sì, credo di essere riuscito a creare una mia rete di contatti che cresce ogni giorno. E la cosa mi rende felice, perché ho la possibilità di ascoltare cose pazzesche e conoscere persone incredibili, al di fuori del mio orizzonte quotidiano. Credo che questa sia la forza e la potenzialità che si nascondono dietro un blog. Per il resto vale sempre lo stesso discorso: in ogni ambiente ci sono delle cose eccellenti e altre di cui si può fare volentieri a meno, vale per i blog, per la musica, per il lavoro, per la televisione, etc…l’importante è scegliere bene, cercare dei contenuti, della qualità. Ci sono blog fantastici che vanno letti: io seguo Guitar Moderne, The Quietus, The Rest Is Noise di Alex Ross, The Free Jazz Collective, a Jazz Noise, Percorsi Musicali, Tone Glow, Pitchfork, che ospitano contenuti di alto livello e sono molto trasversali. Ci sono blog eccellenti per tutti i gusti, per gli appassionati di cucina, di libri, di architettura…perché non scoprirli? C’è un sacco da imparare. Poi c’è un altro aspetto: un blog è un mondo personale e come tale vivo il mio. Tra quelli che ho citato ci sono dei blog professionali, con una redazione e più persone che scrivono. Nel mio faccio tutto io. A volte ricevo delle email, tutte dall’Italia, con su scritto “egregio Direttore…”, “spettabile Redazione…”, mi fanno un po’ sorridere. Io cerco di fare le cose al meglio, ma non sono né professionale, né professionista. Credo che qui stia il grande inghippo: spesso chi mal giudica i blog si aspetta, gratis, da loro lo stesso livello professionale, grafico, editoriale di un giornale o di una rivista, che giustamente si pagano. Per me, non funziona così: un blog nasce come racconto personale, come sfogo per una passione, quindi necessariamente non professionale. Inutile aspettarsi qualcosa che, per DNA, non c’è. Esistono sicuramente dei blog che sono invece ben fatti, ben curati e qui può nascere un problema: certi blog amatoriali, specialistici, hanno contenuti superiori a tanti giornali e riviste. Ma questo non è un problema del blog, ma del settore editoriale professionale. Taccio sui blog politici. Quello è un mondo su cui non riesco a formarmi un’opinione.








Perché hai deciso di pubblicare il tuo ultimo libro, dedicato a John Zorn, solo in inglese?

Veramente ormai scrivo praticamente tutto in inglese. Anche il libro precedente del 2016, “Visionary Guitars. Chatting with guitarists” è in inglese e non è una traduzione di “Chitarre Visionarie” del 2012. Sarà sempre più così, sono scarsamente interessato a pubblicare libri in italiano e i motivi sono diversi. Come per il blog, posso raggiungere un pubblico più ampio e interessante, anche senza ricorrere al circuito delle librerie. In Italia si legge poco, da sempre. Inutile dissipare energie per un pubblico limitato. Meglio concentrarsi su un pubblico più vasto e appassionato che, nel caso del mio lettore italiano, spesso legge anche testi in inglese. Inoltre evito un mare di polemiche e insulti. Se chi mi ha, in passato, scritto, biasimato, insultato per quello che dice di aver letto nei miei libri in italiano li avesse comprati e letti per davvero, a quest’ora sarei milionario in bit coin. I miei libri in inglese sono stati criticati, anche severamente, ma non sono mai stato offeso o bloccato su Facebook per questo. Se pubblico in inglese taglio fuori una larga fetta di pubblico di cui faccio volentieri a meno. Stesso motivo per cui sono uscito, salvo rare e precise eccezioni, dai gruppi di appassionati di musica e chitarra italiani. Pensa che a proposito del libro “John Zorn The Book Of Heads” ho ricevuto diversi messaggi e email che mi chiedevano dove trovare la versione in italiano. Fin qui tutto bene. Il problema è che spesso, dopo aver risposto che non c’è e non è prevista, mi sono sentito chiedere di spedire le bozze del libro in italiano, perché “altrimenti come faccio senza…come faccio a capire se il libro fa schifo…?” Siamo a questi livelli. Ne approfitto per rispondere a un’altra domanda assillante: nel libro non ci sono gli spartiti dei The Book Of Heads, io non li distribuisco, non li vendo e neanche regalo. Se li volete li dovete comprare da John Zorn medesimo.



Avevo promesso dodici domande, perciò questa è l'ultima, cosa ne pensi della situazione economica in cui è sprofondato il mondo delle Arti ?

Temo anche qui di non aver capito bene la domanda: a cosa fai di preciso riferimento? Al mercato dell’arte? Alla situazione degli artisti in generale? Il primo non mi sembra soffra di crisi, mentre i secondi, molti dei secondi non se la passano affatto bene. La crisi innescata dal Covid-19 ha certamente accentuato le difficoltà dato che ha ridotto le possibilità di incontro sociale e l’arte vive di socialità, di scambi, di incontri, che a loro volta alimentano un mercato fatto di esposizioni artistiche, di mostre, di concerti, di masterclass. In questo ambito la musica non se la passava già molto bene, a causa dei cambiamenti sociali che hanno spinto sempre più per una visione in cui la musica non è solo una commodity ma un bene gratuito, non libero, gratuito. Lo streaming musicale, perfettamente legale, ha comportato una perdita significativa negli introiti dei musicisti. Leggevo poco tempo fa che solo circa 12700 artisti riescono a superare la cifra di 50.000 dollari di introiti annui su Spotify e che occorrono circa 120-130 ascolti di un brano per generare un guadagno di 1 centesimo. 1 centesimo. Molti dei musicisti che seguono hanno abbandonato Spotify a favore di una piattaforma più remunerativa come Bandcamp, dove il fine primario non è lo streaming ma la vendita diretta di cd e LP e dove i guadagni sono più elevati. Per molti di loro poi i concerti e l’insegnamento sono le vere fonti di reddito. Per l’insegnamento, spesso privato o presso scuole prioritarie, l’obbligo dell’assenza della presenza ha significato una riduzione delle lezioni e l’assenza dei concerti non solo riduce i guadagni, ma anche la possibilità di vendere direttamente i propri dischi e di creare dei nuovi contatti per nuovi concerti, masterclass, collaborazioni, etc. La crisi dei redditi dovuta alla cassa integrazione e alla perdita dei posti di lavoro, spingerà inoltre a una riduzione dei consumi. Molte persone ci penseranno due volte nella scelta tra beni culturali e beni di primaria necessità. Diverso è il discorso del mercato dell’arte: le nostre economie sono state inondate da un mare di liquidità che cerca nuove possibilità di investimento alternative al mercato finanziario, bancario, assicurativo. Da qui il boom del mercato delle valute elettroniche, vedi Bit Coin e delle case d’asta, d’antiquariato e d’epoca. Prova a guardare quanto è cresciuto il mercato delle auto d’epoca, ad esempio. Il mercato dell’arte non fa eccezione. I beni culturali, specialmente quelli tangibili, sono spesso visti come interessante forma di investimento alternativo, di diversa allocazione degli assett di risparmio. Quel settore, come quello del lusso, non conosce crisi. Inoltre questa crisi ha messo in luce quanta poca considerazione godano gli artisti a livello politico: non ho visto nessun paese brillare per gli aiuti nei settori culturali, artistici e dello spettacolo. Già l’ondata politica neoliberista degli ultimi 25 anni aveva fatto piazza pulita non solo del welfare, ma anche di tante sovvenzioni nel molto culturale, temo che questa crisi completi l’opera. Il mondo dell’arte non ha, poi, mai brillato per efficienza e trasparenza nella gestione economica. Gran parte delle sue istituzioni sono tagliate fuori dal mercato e vivono più di sovvenzioni pubbliche e private che non dalla vendita di biglietti o di merchandising, quando grandi orchestre sono sparite negli ultimi vent’anni perché non più in grado di far fronte ai costi di gestione? Occorrono nuove figure manageriali, nuovi curatori, una nuova visione a livello di sistema. Oltre a questo la mia vista non riesce ad andare. C’è tanto, forse troppo, da fare e da rinnovare e mancano competenze.












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