Tell Kujira
Lo scorso 25 giugno presso lo Studio
Coni Stella, sito al Pigneto in Roma, c'è stata “l'Anteprima
Universale” della “pandemica formazione” denominata Tell
Kujira, ossia Francesco Diodati (FD), Stefano Calderano (SC) , Ambra
Chiara Michelangeli (ACM) e Francesco Guerri (FG). Una formazione
nata dall'esigenza di colmare il silenzio e l'isolamento provocati
dalle norme di sicurezza previste per arginare i possibili contagi.
Tutti soffriamo più o meno le
condizioni dell'isolamento, un artista o comunque un interprete ne
risente maggiormente sia per un'esigenza economica che per la
necessità di comunicare con il pubblico. I maglifici quattro Tell Kujira, rispettando i limiti e le condizioni imposte dal governo, ed
utilizzando ogni sorta di mezzo di comunicazione hanno dato vita a
questo progetto di grande spessore artistico.
Premetto che per noi di MUSICISTANONIMO
& The Border Music i temi del Concept e dell'improvvisazione sono
essenziali se non imprescindibili. Non che la musica di “genere”
sia da meno, ma qualsiasi essa sia, Classica, Jazz, Rock o Etno,
ripropone moduli e pratiche prestabilite.
Il Compcet o tema crea un focus che fa
da cardine all'intero progetto, il singolo o il gruppo ne valuta gli
aspetti comunicativi, la forma e la densità del messaggio.
Qui il tema è proprio
l'improvvisazione, collettiva, singola e singola nella collettività.
Sembra un gioco di parole ma è la triplice impostazione che
formazioni storiche come quelle capitanate e condotte da John Zorn,
oppure da Derek Bailey grande interprete di escursioni solitarie,
anno sempre messo in gioco. Lo stesso è riproposto dai Tell Kujira,
in questo progetto ci sono anche tutti quei fermenti che hanno
alimentato i movimenti del Free Jazz e dell'Avant Garde, ma anchecon
un piacevole eco della musica classica contemporanea.
Lo Studio Coni Stella è una ex
fabbrica di cialde e coni gelato, assomiglia molto a quei loft di New
York degli anni sessanta. Oggi è un laboratorio artistico dove
operano artigiani delle arti figurative. Non è aperto al pubblico ma
per questa occasione è stata una splendida cornice, si percepiva
un'intensa atmosfera creativa!!
Il concerto si è svolto con estrema
fluidità, tra intensi momenti corali e divagazioni solitarie, è
difficile documentare a parole le suggestioni, le immagini e le
coincidenze mentali che si sono innescate durante l'ascolto, così ho
deciso di orientarvi verso un'impresa monumentale...
“L'intervista quadrupla:”
(ps ... per non appesantire la lettura
ho omesso alcune risposte, in certi casi erano simili ed ho scelto di
non ripeterle.)
Qual'è il tuo background ? ( classica
– jazz – altro)
FD:
Ho iniziato con i police, Joe Satriani, Sting, PFM, Roben Ford, poi sono stato un talebano ascoltatore di solo
jazz, poi ho riscoperto i Nirvana, i Radiohead, Sound Garden, Jeff
Buckley, e poi hocontinuato a espandere l’universo musicale di
riferimento. A oggi non faccio più distinzioni di genere, ascolto tutto ciò che sento
vero, da Steve Coleman ai Sonic Youth passando per A tribe Called Quest.
SC:
Ho inizio a suonare in varie band
post-punk, da autodidatta.
Successivamente studio e mi formo nella
musica classica e nel jazz.
ACM:
La mia formazione è decisamente
classica, anche se ho sempre ricercato un linguaggio del tutto personale all’interno dello
studio del repertorio di viola tipico che si fa in conservatorio.
FG:
Il mio background parte dalla Classica
per poi fare un breve excursus nei terreni della elettroacustica subito dopo il
diploma in violoncello e rimbalzare nel substrato della scena della musica
improvvisata dei primi anni 2000 a Bologna.
Quali sono, o sono stati, i tuoi
ascolti nell'ambito della musica improvvisata?
SC:
Partendo dal jazz, dove ho ascoltato
soprattuto Miles Davis (i quintetti), Wayne Shorter, Thelonius Monk,
sono arrivato ad amare musicisti moderni come Tim Berne, Jim
Black,Marc Ducret, David Stackenas e tutta la scena nord europea
(quella che fa capo all'etichetta Hubro).
Oggi ascolto molta musica dei generi
più diversi: adoro il lavoro di Feldmann, di Glenn Branca; ascolto
molto Jim O'Rourke e David Grubbs, i Tortoise; amo ascoltare Bill
Frisell in ogni sua incarnazione.
ACM:
Son cresciuta con ascolti davvero di
generi diversi. Indubbiamente il progetto Masada di Zorn e il trio d’archi all’interno
di quel progetto mi ha accompagnato per anni. Per non parlare poi dei dischi di Ribot e
Frith.
Come sei entrato/a all'interno di
questo collettivo ?
SC:
Questo collettivo, come ci piace
chiamarlo riferendoci soprattutto all'aspetto della composizione,
collettiva appunto, nasce da un'urgenza mia e di Francesco Diodati:
alla volontà di suonare assieme, abbiamo aggiunto l'esigenza di
trovare un suono che ci stimolasse. L'idea di coinvolgere due
archi ha preso rapidamente piede: il suono dell'arco mescolato al
suono delle chitarre ci ha guidato nella ricerca di musicisti che
potessero sviluppare un percorso fatto di improvvisazione e
successiva elaborazione del materiale suonato.
Il metodo di lavoro è nato
spontaneamente. Da iniziali session di improvvisazione vengono fuori
nuclei musicali abbastanza ben definiti che vengono successivamente
ripresi e meglio messi a fuoco: poi lavoriamo ad un montaggio
coerente di tutto il materiale che ci sembra funzionare.
Questo ci porta a dire che il nostro
lavoro è di scrittura collettiva.
FG:
Ho ricevuto una telefonata di Francesco
Diodati, di cui gia conoscevo il lavoro e che mi aveva gia dato
l’impressione (poi confermata) di essere un musicista notevole. Da
subito ci siamo chiariti sulla direzione che si voleva dare al gruppo
e abbiamo organizzato un primo incontro.
Cosa vorresti esprimere in questo
progetto?
FD:
Una ricerca vera, profonda, che si
traduca in una musica vissuta, palpabile. Cone direbbe Montale..quasi
non s’ode, si respira.
ACM:
Sono assolutamente convinta delle
potenzialità dei nostri singoli suoni, che uniti ne formano uno unico, appunto del tutto
originale e nostro.
Pensate di coinvolgere altri musicisti
?
FG:
Credo di si, magari su progetti
specifici. L’idea è anche quella di organizzare workshop
condividendo il nostro metodo di lavoro con ensemble ampi.
SC:
Tell Kujira siamo io, Francesco
Diodati, Ambra Chiara Michelangeli e Francesco Guerri.
Altri musicisti potranno di volta in
volta arricchire la nostra ricerca, ma non penso che il progetto iniziale possa accogliere
altri musicisti in pianta stabile.
Quando penso alla musica improvvisata o
avant garde , mi vengono in mente nomi come Cecil Taylor, Derek Baliley e i progetti di
John Zorn. Simili alla vostre proposta ritrovo Fred Frith con
Iva Bittova e Tom Cora, ma anche Marc
Ribot con Mark Feldman e Erik Friedlander, solo per citarne alcuni !!!
Conosci il repertorio di questi
musicisti? Cosa condividi e cosa no della loro visione?
ACM:
Certamente, ho registrato su un disco
in cui la mia viola suona e risponde al violoncello di Erik
Friedlander.
FG:
Conosco certamente tutti questi
incredibili musicisti e condivido molto del loro discorso musicale.
Negli anni però credo di aver cercato
ispirazione altrove. Non credo che si possa insegnare ad
improvvisare, credo sia qualcosa di cui va fatta esperienza
individualmente e non per forza in ambito musicale, anzi. Per esempio
per sviluppare il mio linguaggio da improvvisatore e compositore sono
stati più importanti le esperienze con il Teatro
e la Danza.
Nei laboratori con Michele di Stefano
di Mk per esempio, che ho fatto da giovanissimo, ho scoperto molto
più che in qualsiasi altra esperienza musicale.
Penso che avere un progetto come questo
ti abbia aiutato a superare la crisi pandemica di questi due anni,
sbaglio ?
SC:
Questa domanda è interessante!
Probabilmente è vero: aver deciso di
mettere su un progetto di tale respiro in un momento storico come
quello che ancora stiamo vivendo, ha sicuramente significato
qualcosa.
Pensandoci bene, le difficoltà che
abbiamo affrontato anche solo per mettere su delle residenze, è
stata una risposta ad un clima generale che via via andava creandosi:
non mi riferisco alla contrapposizione
'isolamento-collettivo', che pure sembra esserci; più che altro
penso, come dicevo prima, ad un atteggiamento nei confronti della
musica e degli altri.
Affrontare le residenze e i nostri
incontri con una gioia apparentemente immotivata è stata una
risposta ad un attenzione generale solo per gli aspetti materiali
dell'esistenza:
chiariamoci, l'aspetto economico,
materiale, durante questi quasi due anni difficili è stato
determinante- sussidi, rimborsi per mancati concerti-etc, sono stati
decisivi per tutti; eppure alla lunga mi sembra che non possa
bastare: è mancato e forse ancora manca, tutta una realtà fatta di
cose che non si possono toccare ma sulle quali fondiamo la nostra
vita: viaggiare con gli strumenti in macchina alla volta di una
residenza di due o tre giorni, per incontrarsi e immergerci in una
musica creata assieme, senza una immediato riscontro lavorativo,
impossibile per altro da avere, mi sembra sia stata una risposta
coerente a ciò che manca alla narrazione generale di questi anni, e
forse non solo di
questi anni.
FD:
Penso che superare la crisi pandemica
mi abbia portato a un progetto come questo. Molto spesso sento dire
dai musicisti che si sono sentiti inutili durante la pandemia. Io non
mi sono sentito cosi, anzi, ho toccato ancora più profondamente
l’essenza del perchè faccio musica. La conseguenza è stata
cercare in tutti i modi di vedermi con altri musicisti e ad esempio
con Tell Kujira abbiamo fatto molte residenze “autogestite”, nel
rispetto delle regole ma sfidando anche un po’ le restrizioni del
momento.
Durante questo periodo di isolamento
avrai avuto modo di riflettere sulla condizione precaria delsettore
artistico, cosa di sei ripromesso/a di fare e di non fare ?
ACM:
Son state fatte molte manifestazioni e
incontri, sono nati dei collettivi e molte piattaforme per discutere
sulle condizioni precarie del mondo dello spettacolo. Ovviamente non
è cambiato granchè quindi non c’è molto da fare o da non fare,
se non cercare di tutelarsi il più possibile per il futuro. Di certo
la consapevolezza da parte dell’ artista x di essere
ritenuto un’ultima ruota di un carro
che comunque non cammina è sicuramente aumentata. Credo che
bisognerebbe riformulare quasi da zero le modalità di riconoscimento
economico e non solo, per il mondo dello spettacolo. In alcuni
ambiti, anche quelli meno ufficiali il
musicista come anche il danzatore o l’artista o l’attore è
un’ombra, e tutta la ricerca artistica che richiede tempo e studio
non viene considerata “lavoro”. Purtroppo è ovviamente un
problema culturale alla base di un Paese dove viene ritenuto Artista
con la A maiuscola colui che cerca di comparire in un programma
qualunque televisivo, e in un paese dove dopo un periodo lungo di
chiusura la priorità assoluta è riaprire le chiese o i palazzetti
per le partite di calcio di serie c.
SC:
Riprendendo il filo della risposta
precedente, mi sembra che la disattenzione al settore artistico
tutto, vada di pari passo ad un non occuparsi di tutto ciò che non è
immediatamente materiale, tangibile, monetizzabile e infine visibile.
Mi ha colpito molto che una società
complessa come la nostra sia andata completamente in crisi alle prese
con un agente virale invisibile: mi sembra paradigmatico di come sia
strutturata la nostra vita, nei nostri paesi.
Eppure sono sempre più convinto che
tutto ciò non attiene alla vita reale delle persone, che al
contrario si basa su una mescolanza di cose materiali e non: è la
nostra società che racconta se stessa espellendo dal suo
interno tutto ciò che non può misurare, quantificare; eppure è
impossibile quantificare l'apporto dell'ascolto di un disco nella
vita delle persone, e così di un film, di uno spettacolo
teatrale, della lettura di un libro. Vedere oggi tutta la gente che
affolla gli spazi culturali e artistici che hanno riaperto al
pubblico, pone delle domande inevase da sempre penso.
Cosa spinge le persone ad andare ad
ascoltare un concerto, o un altro evento legato all'arte?
Che significa assistere assieme ad
altre persone ad un evento artistico?
E'misurabile l'accrescimento personale
dato dalla frequentazione artistica?
E in che termini si può parlare di
accrescimento personale?
Sarebbe auspicabile che almeno noi
artisti cominciassimo ad occuparci anche di tentare delle risposte a
queste domande: sarebbe da parte nostra un'assunzione di
responsabilità di un ruolo che, nonostante sia negato da più parti,
abbiamo all'interno della società.
FG:
Si mi ha certamente aiutato anche se
devo dire che mi sono concertato su altri aspetti della vita come la
mia famiglia e abitando in campagna ho sperimento anche piacevolmente anche altre
organizzazioni del tempo, altre routine, altre priorità.
Rispetto agli effetti della pandemia
credo che almeno un aspetto positivo sia stato che tutti noi
musicisti abbiamo dedicato tempo alle musiche che più amiamo senza i
compromessi derivanti dal mercato, dal desiderio di affermazione di
se, dalla ricerca di riconoscimento.
Casa ti aspetti in futuro per i Tell
Kujira?
FD:
Un lungo, lunghissimo viaggio con amici
nuovi.
ACM:
Molti molti molti concerti!
FG:
È un futuro molto lungo quello che mi
immagino, spero che sia un lungo, lunghissimo viaggio.
SD:
A questa domanda non so rispondere.
In generale non penso molto al futuro,
penso molto di più a vivere quello che riesco ad organizzare nel
presente: un po' è come quello che dicevo prima sullo spirito di
tell Kujira; c'è un momento strettamente legato al presente,
all'atto artistico in sé; successivamente subentra una
consapevolezza di ciò che si è fatto, una interpretazione, il
trovare un senso.